Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE L’AUTOLESIONISMO
Cos’è l’autolesionismo
Con il termine autolesionismo si indicano tutti i comportamenti e gli atti intenzionalmente autolesivi verso il proprio corpo.
L’intento di chi soffre di autolesionismo è provocarsi dolore e danno fisico. Gli atti e i comportamenti autolesivi patologici sono classificabili in tre principali categorie:
autolesionismo moderato o superficiale
- tagli della cute con oggetti affilati come coltelli e taglierini
- perforazioni con punteruoli o altri strumenti appuntiti
- bruciature con oggetti roventi o marchiandosi con sigarette
- mordersi
- sollevare lembi di pelle
- grattare e raschiare la pelle
- conficcare le unghie
- strapparsi peli e capelli
autolesionismo maggiore
- ingestione di sostanze chimiche e tossiche
- ingestione di grandi quantità di farmaci e di alcol
autolesionismo latente
- mancata ingestione di cibo
- pratica smisurata di attività fisica
Tra le diverse forme di autolesionismo rientra anche l’autolesionismo stereotipico, ovvero tutti quei comportamenti ripetuti come morsi o colpi con la testa, riconducibili a un ritardo mentale, all’autismo o alla sindrome di Tourette.
L’autolesionismo interessa qualsiasi età sebbene ci sia una maggiore incidenza nell’adolescenza e nei giovani adulti, in prevalenza soggetti psichiatrici; tuttavia, può interessare anche soggetti affetti da disturbi d’ansia e depressione.
È una forma di auto-punizione in soggetti con un forte senso di colpa e con un’elevata autocritica. A volte è praticato solo per raggiungere piacere, in questi casi è spesso associato a pratiche sessuali.
Alcuni studi hanno riscontrato che molti soggetti praticano autolesionismo per emulare amici o parenti autolesionistici, altri che l’autolesionismo è un modo per rivendicare forme di discriminazione del proprio orientamento sessuale o del proprio credo, forme di pregiudizio nei propri confronti.
Contrariamente a quanto si possa pensare, raramente questi atti autolesivi sono tentativi di suicidio o chi li mette in atto ha tendenze suicidarie, essi hanno una natura diversa. Alcune volte, però, possono essere predittivi di tentativi di suicidio soprattutto quando vi è una progressiva desensibilizzazione al dolore fisico.
L’autolesionismo può essere a volte letale a causa di intossicazioni da farmaci o sostanze nocive, di un grave danneggiamento dei tessuti, a causa di emorragie provocate da tagli profondi o colpi alla testa.
Lo scopo dell’autolesionismo è indurre una sensazione positiva e ottenere sollievo da uno stato cognitivo negativo. Quando i pensieri negativi predominano, gli autolesionisti vivono un momento di crisi che non riescono a controllare e ciò li porta a provocarsi dolore. Il dolore induce da un lato uno stato di soddisfazione e godimento, dall’altro una perdita di controllo.
Per l’autolesionista procurarsi un dolore fisico e quasi sempre anche un danno fisico, è un modo per sentirsi meglio, per alleviare lo stato di angoscia che lo affligge, per provare un distacco emotivo.
Chi mette in atto comportamenti autolesivi lo fa per focalizzare l’attenzione sul dolore fisico spostandola da quello emotivo, da quello dell’anima. Il dolore fisico percepito risulta meglio controllato e tollerato rispetto a quello emotivo, rispetto al profondo vuoto interiore sentito. Il dolore fisico genera sollievo perché allontana le sensazioni negative, il senso di angoscia incontrollabile e insopportabile.
Gli atti autolesivi vengono quasi sempre utilizzati per attirare l’attenzione, sono una richiesta di aiuto manifestando un disagio. Chi li compie ha spesso difficoltà a riconoscere e gestire le proprie emozioni.
L’autolesionismo urla la sofferenza che non si riesce a comunicare a parole.
Cause
Alla base dell’autolesionismo c’è sicuramente uno stress emotivo imponente.
Chi mette in atto comportamenti autolesivi può aver vissuto traumi emotivi come la morte di una persona carao un aborto spontaneo e traumi fisici come violenza e abusi sessuali.
Anche situazioni difficili in ambito lavorativo, si pensi a un datore di lavoro opprimente, assillante, soffocante, che genera sottomissione, difficoltà e insuccessi scolastici, fenomeni di bullismo, problemi sociali, difficili relazioni, conflitti con i genitori o con il partner…possono indurre all’autolesionismo.
L’autolesionismo è spesso espressione di problemi di natura psicologica:
- Stati depressivi
- Ansia
- Accentuato senso di colpa
- Mancanza di autostima
- Disturbo borderline della personalità
- Disturbi dell’umore
- Perdita di controllo, impulsività
- Disregolazione emotiva
- Discontrollo degli impulsi
- Disturbi di personalità antisociale
- Sentimenti negativi verso il proprio corpo
- Disturbi alimentari
- Disturbi della condotta
- Tossicodipendenza
Sintomi
Le manifestazioni dell’autolesionismo sono:
- Pensieri autolesivi frequenti
- Difficoltà interpersonali
- Pensieri negativi prima del gesto autolesivo
- Preoccupazione incontrollabile per il gesto
- Presenza di tagli o bruciature sul corpo
- Tendenza a coprire le parti lesionate
- Continua autocritica
- Bassa autostima
- Disgusto verso sé stessi
- Tendenza a isolarsi
- Abuso di alcol o di sostanze
- Abuso di farmaci
- Tendenza a strapparsi i capelli
- Mangiarsi compulsivamente le unghie
Cura
In alcuni casi l’autolesionismo potrebbe richiedere un’ospedalizzazione immediata, si pensi all’overdose da farmaci, l’intossicazione da sostanze, emorragie a seguito di tagli profondi, gravi bruciature.
Sicuramente il punto di partenza per un’accurata pianificazione della terapia è la consapevolezza da parte degli autolesionisti di avere un disturbo e di necessitare di specifico supporto medico.
Generalmente il trattamento dell’autolesionismo prevede una collaborazione multidisciplinare tra psichiatra e psicoterapeuta.
Nello specifico la psicoterapia pone l’attenzione sugli aspetti irrazionali, aiuta il paziente a individuare e riconoscere quei pensieri intrusivi, negativi e distorti, che lo spingono a procurarsi un danno e del dolore. Lo aiuta inoltre a riflettere e lavorare sui sentimenti e sulle circostanze che precedono gli atti autolesivi.
Il terapeuta lavora sulla motivazione al trattamento, aiuta il paziente a sviluppare strategie utili a gestire le emozioni negative e gli stati di malessere che sono alla base dei comportamenti autolesionistici. Il lavoro è orientato a sviluppare emozioni positive che permetteranno di migliorare le relazioni e di arginare l’influenza delle emozioni negative.
A volte il terapeuta può coinvolgere nel percorso terapeutico anche la famiglia del paziente, affinché possa essere di supporto durante il percorso terapeutico. Ovviamente questo coinvolgimento risulterà inappropriato se dovesse emergere che l’autolesionismo ha origine da difficoltà e disfunzioni familiari.
La terapia di gruppo, in particolare, risulta essere molto indicata: rapportarsi e confrontarsi con soggetti che hanno vissuto o vivono situazioni simili rende più facile l’esternazione e la condivisione dei propri problemi.
Affinché ci sia riuscita della cura è indispensabile che ci sia continuità della terapia soprattutto per evitare le recidive che in questo disturbo sono molto frequenti.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI
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