
Superare la dipendenza affettiva
Metodo di approccio di psicoterapia dello Studio BURDI
per
SUPERARE LA DIPENDENZA AFFETTIVA
Cos’è la dipendenza affettiva
La dipendenza affettiva è una dipendenza comportamentale, non caratterizzata dall’abuso di alcol o sostanze, ma da comportamenti patologici di vivere una relazione. È un disturbo relazionale.
La dipendenza affettiva è una condizione patologica e in quanto tale è caratterizzata da ossessività, impulsività e compulsività. L’ossessività del pensiero verso una persona, generalmente il partner; l’impulsività di determinati comportamenti quali numerosi messaggi, frequenti chiamate di controllo ecc…; la compulsività, cioè la difficoltà a trattenere ed evitare determinati comportamenti.
Chi soffre di dipendenza affettiva la confonde molto spesso con l’amore. In realtà è una forma di amore malato ed ossessivo, disfunzionale, in cui la persona dipendente rinuncia ai propri bisogni, al proprio spazio, mette le proprie opinioni da parte. Il partner viene considerato come unica gratificazione e fonte di amore, per questo la paura di perderlo è incontrollata.
Apparentemente la dipendenza affettiva offre un senso di benessere, ma allo stesso tempo aumenta il bisogno di legame al partner da cui si dipende. La persona che soffre di dipendenza affettiva considera la propria vita insignificante e vuota senza la presenza del partner.
La dipendenza affettiva è un bisogno eccessivo di fare affidamento sul partner, un eccessivo bisogno di protezione e cure associati alla paura di rimanere soli. Inevitabilmente queste relazioni non sono gratificanti, ma insoddisfacenti e dolorose.
Spesso le persone che soffrono di dipendenza affettiva diventano potenziali vittime di manipolazioni emotive o di violenze all’interno della relazione; hanno difficoltà ad esprimere disaccordo, a prendere decisioni autonomamente e indipendentemente dagli altri. Questo, se da un lato genera nell’altro un forte senso di coercizione nel doverle continuamente accudire, assistere, guidare, dall’altro gli attribuisce una sensazione di potere all’interno della coppia.
La dipendenza affettiva genera relazioni affettive e sentimentali disfunzionali, non una dipendenza positiva che nelle relazioni ha valore funzionale, sano e reciproco.
Cause
Diversi studi hanno dimostrato che il mal funzionamento della dopamina a livello cerebrale sia un fattore determinante per lo sviluppo della dipendenza affettiva.
Anche l’ambiente familiare influisce in modo significativo allo sviluppo della dipendenza affettiva, in particolar modo famiglie in cui non vi è una chiara distinzione dei ruoli ed in cui si ha una costante intromissione nei pensieri, nei sentimenti e nelle azioni altrui.
Alla base di una personalità dipendente c’è sicuramente insicurezza, scarsa autostima, difficoltà a prendere decisioni, sensazioni di disagio quando si è soli.
La dipendenza affettiva è una patologia che coinvolge prevalentemente le donne, generalmente provenienti da famiglie problematiche che le hanno portate a sviluppare inadeguatezza ed indegnità personale.
La persona dipendente è fragile, bisognosa di conferme e terrorizzata dall’abbandono. Influisce nello sviluppo di una dipendenza affettiva anche la presenza di disturbi d’ansia, il disturbo distimico, il disturbo post-traumatico da stress, il disturbo ossessivo compulsivo e altre forme di dipendenza come quella da alcol, sostanze, cibo ecc…
Sintomi
La dipendenza affettiva è caratterizzata da sintomi simili a quelli delle altre dipendenze comportamentali:
- Piacere derivante dall’oggetto della dipendenza
- Tolleranza e necessità di aumentare il tempo trascorso con il partner
- Ossessività
- Impulsività
- Compulsività
- Negare i propri bisogni a fronte di quelli del partner
- Ansia costante di poter perdere la persona oggetto della propria dipendenza
- Continuo bisogno di rassicurazioni
- Continue richieste affettive
- Emozioni negative quando il partner è distante
- Repressione della rabbia
- Perdita di controllo
- Accettazione della sofferenza pur di non restare soli
Cura
È importante riconoscere la dipendenza affettiva per prevenire, in caso di interruzione della relazione, reazioni eccessive quali comportamenti persecutori come lo stalking, gravi depressioni o tentativi di suicidio.
La dipendenza affettiva può essere curata con l’aiuto di uno specialista Psicoterapeuta che inquadra il disturbo all’interno della storia di vita del paziente.
Il primo passo è il riconoscimento della propria dipendenza affettiva da parte del paziente e delle conseguenze prodotte dal disturbo. Il paziente con l’aiuto del terapeuta ripercorre e analizza la relazione attuale e le eventuali relazioni passate, individua gli eventi scatenanti che hanno indotto l’instaurarsi del disturbo.
La Psicoterapia aiuta il paziente ad intraprendere un processo di cambiamento partendo dalla gestione delle emozioni negative legate alla solitudine, al rifiuto all’abbandono. Essa, inoltre, aiuta il paziente a gestire l’astinenza evitando eventuali ricadute, a riconoscere i propri bisogni e la necessità di stabilire confini personali.
Obiettivi importanti della terapia sono inoltre, l’indipendenza del paziente, lo sviluppo di competenze affettive, comportamentali e sociali.
Sintesi a cura di:
Dott.ssa Elisabetta Lazazzera
Tirocinante di Psicologia presso Studio BURDI

LA SOSTANZA AFFETTIVA
LA SOSTANZA AFFETTIVA
Breve compendio sulle dipendenze
Tra le sostanze psicotrope più diffuse che creano maggior dipendenza organica ed emotiva, tra le più complesse da trattare in termini di tempi di psicoterapia, secondo una scala di difficoltà di trattamento, abbiamo al primo posto l’ eroina, a seguire, il crack, l’ alcool, la cocaina e in fondo alla scala la cannabis.
Esse richiedono un periodo di trattamento di psicoterapia mediamente lungo e statisticamente pari a tre anni per la prima, due per il crack e l’ alcool, un anno per la cocaina e per la cannabis; per tutte queste dipendenze il lavoro di psicoterapia deve essere condotto con continuità e senza interruzioni.
La dipendenza affettiva, risulta essere la più radicata e la più complessa da trattare, si pone al primo posto per il suo livello di difficoltà di trattamento e esattamente si pone prima dell’ eroina; per questo la definiremo, sostanza affettiva; essa infatti affonda le sue radici causali più profonde all’ interno della relazione parentale e si comporta come una vera e propria sostanza che viene assunta per gratificare quei sistemi di ricompensa mancati nella relazione affettiva originaria.
La dipendenza affettiva ha tutt’ altro che una dimensione razionale, essa va di gran lunga oltre quei processi del pensiero ed è complessa nel riconoscimento delle sue cause;
la sostanza affettiva risiede in meccanismi inconsci ed ombrosi, all’ interno di sfumature antiche, attentive ed affettive compromesse della famiglia.
La gamma dei sintomi determinati dalla sostanza affettiva sono numerosi e comprendono: fobie generalizzate, frustrazione per l’ assenza della figura affettiva, percezione del vuoto emotivo e sensazione di smarrimento, paura per la solitudine e per gli abbandoni, timore intermittente di perdere l’ oggetto amato, timore di essere rifiutato e il bisogno di rassicurazioni continue.
La dipendenza affettiva si confonde con l’ amore, ed è cosa molto diversa dall’ amore; la prima è caratterizzata dalla presenza evidente di un litigio continuativo, è conflittuale ed insostenibile;
i partners sono orientati prevalentemente nell’ imporre i propri bisogni in modalità ossessivo e manipolativa, dove il dipendente, il più delle volte, è sottomesso.
La dipendenza nasce dall’ accanimento di voler soddisfare i bisogni frustrati di un tempo. Voler soddisfare un bisogno determina il gap di non considerare mai, e non aver in mente, la persona interlocutrice, riscoperta in seguito come incongruente ed ingannatrice, solo dopo avere soddisfatto il bisogno.
L’ amore non è mai dipendenza affettiva, al contrario è un’ opera d’ arte che va contemplata per la sua poesia e la sua delicatezza, è gratuità di sentimenti, è autonomia dell’ uno verso l’ altro, è attesa, non coercizione o cospirazione, è paziente, comprensiva, guarda alla persona, non al progetto, esso viene tanto dopo, è orientato non al bisogno da soddisfare,ha stima, fascino per l’ altro, non fa contratti, compromessi, ne ricatti, non ha obblighi, è rispettoso e discreto, desidera, è passionale e compassionevole, dialoga ininterrottamente, si incanta, non litiga sempre, non comanda, non è mai direttorio, è umile, impara, ma, non insegna o conosce saccenza, non si erge, o si piega, copre, promuove, è protettivo, non usa imperativi, è stupito, è riparativo e devoto, sa chiedere scusa, è in preghiera per la meraviglia e se discute ne apprezza le differenze per evolversi.
La sostanza affettiva è una sabbia mobile che non ti permette mai lo slancio, le emozioni del bello, decreta la fine già dall’ inizio; procrastina, per la chiarezza torbida dell’ obiettività, è quel bisogno che rende cieca l’ oggettività; la sostanza affettiva proclama la fine di se e delle proprie risorse, tira fuori il peggio di se, da credere di non essere mai stati migliori; condanna alla prigionia dell’ altro, a sentirsi ripetutamente sbagliati ed errati; fa arrampicare sugli specchi dell’ impossibile e della malattia.
Ma come si struttura e da cosa nasce la dipendenza affettiva come una sostanza ? Le dipendenze da sostanze psicotrope hanno delle origini più ravvicinate di quelle affettive. Diciamo subito che le dipendenze in generale, si innescano all’ interno di quei circuiti dopaminergici, relativi ai meccanismi della ricompensa.
I bassi o I mancati stimoli delle ricompense affettive ambientali, inducono una ricerca esterna di stimoli compensativi surrogati, coadiuvanti e suppletivi, che creano ad essi la dipendenza. La sostanza affettiva rappresenta una sostanza di rimborso delle carenze attentive non soddisfatte.
Il nostro cervello necessita di produrre la dopamina, che è l’ ormone della gratificazione, attraverso stimoli specifici ambientali consoni. In assenza di tali stimoli ambientali affettivi specifici, il sistema adrenergico, si rifà sui sostituti “surrogati” dell’ ambiente, sostituendo lucciole a lanterne come mezzo di auto sopravvivenza.
Cosa manca ad un soggetto che soffre di dipendenza ? “LA PRESENZA”. Riempirà il malessere delle assenze, con la presenza e le premure di uno qualunque approssimativo surrogato, attraverso il contatto rassicurante di una comparsa o attraverso l’ euforia della cocaina, o tramite la parola di un ammalato di vuoti come lui, o attraverso l’ alcol, o attraverso la fame del come stai o attraverso la ludopatia per i giochi dell’ infanzia mai condivisi.
L’ assenza, genera il timore e la paura per la solitudine, per tutte le crisi abbandoniche subite. Una delle origini della dipendenza affettiva è la storia e il susseguirsi degli abbandoni subiti. Una relazione più è frustrante, più alto è l’ indice di insinuazione di una dipendenza, più si presentano stati paranoici e persecutori.
Attraverso i processi abbandonici, il dipendente sarà alla ricerca estenuante di un suo accuditore dedito e devoto, di un “badante”, di un infermiere che lo curi e lo ami, come quella cannabis che lo fa cedere accasciato tra le proprie braccia. La Dipendenza affettiva si equivale a tutte quelle crisi abbandoniche subite.
Un genitore, con le sue assenze e i suoi abbandoni, respinge il proprio figlio, si percepisce indesiderato, ma allo stesso tempo lo lega, lo vincola tra le mura domestiche, lo rende socio fobico, bloccato al suo utero, all’ interno di una relazione asfissiante e trasparente, lo lega nell’ attesa che arrivi prima o poi quell’ attenzione, uno slancio o un abbraccio, uno scorcio di sorriso, di una rassicurazione, o di un come stai.
La motrice primaria per liberarsi dalla dipendenza affettiva risiede innanzitutto:
1 nella consapevolezza di essere un dipendente affettivo,
2 nella comprensione dei meccanismi che lo legittimano ad un tale meccanismo patologico,
3 e nell’ investire energicamente su di se , su quegl’ interessi che stravolgono la propria esistenza che si definiscono attitudini.
giorgio burdi
Continua
ABBRACCIARE GLI SPETTRI
Da “ Se incontri il Buddha per strada, uccidilo “ di Sheldon Kopp.
Se incontri uno spettro per la strada, abbraccialo
Ogni uomo è tormentato dallo spettro di un gemello che rappresenta tutto ciò di sé stesso a cui direbbe “no” (Sheldon Kopp).
È un’ombra svelta e meschina che viene a disturbarci lungo il cammino. Un brigante. In pochi secondi, vediamo tutto il lavoro impiegato per trovare la pace dei sensi e la felicità svanire.
Crisi.
Evidentemente ci è sfuggito qualcosa, non abbiamo capito fino in fondo la nostra vita. La strada che con tanta fatica ci siamo costruiti è sbagliata. È una strada che porta verso il caos, l’incertezza…non va bene.
Che confusione! Eppure, una chiave ci deve essere, deve esistere un modo per cambiare come siamo. È diventato insopportabile vivere così. Non è possibile camminare su una strada così fallibile, incerta e solitaria.
È in questo momento che iniziamo a trovare mille possibilisoluzioni al nostro problema. Un problema che ci fa sentire in difetto, guasti. È da quel momento che potremmo vedere negli altri, “più risolti ed equilibrati”, la soluzione. Può essere un familiare, un amico, lo psicoterapeuta.
Automaticamente, la persona che noi riteniamo abbia ricevuto il dono dell’illuminazione diventa centrale per la nostra vita. Finalmente, nel nostro cammino, abbiamo incrociato il Buddha: ci siamo quasi.
Quello che accade, in realtà, è che stiamo idealizzando. Quando idealizziamo qualcuno (o qualcosa) stiamo proiettando il nostro bisogno di trovare una soluzione. Un chiave che apre (e quindi chiude) tutte le porte della nostra mente.
La proiezione è efficace soprattutto perché siamo noi, in primis, a credere di poter raggiungere la “perfezione”. Siamo convinti di far parte di una specie animale di norma pura e onnipotente. È un’idea bellissima che ci fa continuare a credere di poter un giorno essere invulnerabili ai problemi della vita. La seconda convinzione è quella di poter raggiungere lo stato di “persona giusta” attingendo da forze esterne a noi.
Il fatto è questo: non c’è soluzione, perché non esiste il problema. Non siamo una specie interamente buona o interamente cattiva. Noi, essere umani, siamo animali. Abbiamo istinti e parti irrazionali. Non siamo delle divinità, siamo carne e ossa. Abbiamo il dono dell’amore, ma anche il suo gemello complementare: l’odio. Non possiamo fare miracoli, non possiamo eliminare le emozioni negative e, soprattutto, nessun essere umano è capace di controllare e salvare nessuno. Non abbiamo questo potere, non possiamo controllare gli altri e gli eventi. In effetti, la strada che percorriamo è fragile, caotica e solitaria… è così per tutti!
Lungo la strada, come tutti gli altri, devo sopportare i miei fardelli. Ma non intendo sopportarli graziosamente, né in silenzio. Prenderò la mia tristezza e per quanto posso la canterò. In questo modo, quando gli altri sentiranno la mia canzone, forse le faranno eco e risponderanno dal profondo dei loro stessi sentimenti(Sheldon B. Kopp).
I nostri spettri vanno amati perché ci ricordano di essere umani. E in quanto animali, siamo nel posto giusto. I nostri piedi sono adatti per poggiarsi per terra e camminare. Non siamo né interamente buoni, né interamente cattivi; siamo naturali.
Se ci ricordiamo di essere fallibili, impariamo a perdonarci. Se ci ricordiamo di essere incerti, impariamo a lasciar perdere il futuro, non possiamo controllarlo, e a vivere nel presente. Se ci ricordiamo di essere soli, capiamo di essere noi i veri padroni di noi stessi.
E quante lacrime e quanta tristezza ci furono ancora quando giunse a capire che la parte che voleva, in realtà, era sua, se la chiedeva, e lo era sempre stata!
(Sheldon B. Kopp, Se incontri il Buddha per la strada, uccidilo)
Susanna García Rubí
ContinuaLA DIPENDENZA AFFETTIVA
“La dipendenza affettiva presenta una terribile limitazione, l’incapacità di essere davvero felice, arginata solo da un rimedio: l’altro.”
Dire basta alla dipendenza affettiva. Imparare a credere in se stessi- Marie-Chantal Deetjens.
LA DIPENDENZA AFFETTIVA
La paura del vuoto e una crepa nel processo dell’ identificazione personale
La dipendenza affettiva, in inglese love addiction, rimanda ad una tipologia di relazione che può essere definita disfunzionale e disturbata. Questa, infatti, si distingue per una situazione di svantaggio del dipendente e da un rapporto “a senso unico”, in particolar modo per colui che sviluppa la dipendenza.
Chi soffre di dipendenza affettiva si sente inadeguato e non degno di amore e vive costantemente con il terrore di abbandono.
È noto come nei rapporti amorosi vi sia la prima fase di “idillio”, la fase di amore romantico, costituita da estrema felicità, passione, euforia e idealizzazione del partner. Durante questa fase alcuni autori (Aron, Brown, Fisher, Xu), hanno individuato in alcuni individui la presenza di sintomi caratteristici dei disturbi di dipendenza, tra cui euforia, desiderio, tolleranza, dipendenze emotiva e fisica, ritiro e ricaduta.
Quando le connotazioni più dipendenti diventano prerogative e necessità assolute, vi è la possibilità di cadere nel versante più disfunzionale del rapporto, quale la dipendenza affettiva patologica.
Il rischio di maturare una dipendenza affettiva, infatti, deriva dalla capacità di entrambi i soggetti di riconoscere la propria individualità e rispettarsi come individui separati.
È utile notare che, in lingua inglese, il termine addiction richiama una condizione generale in cui la dipendenza psicologica esorta alla ricerca dell’oggetto di interesse, senza il quale la vita mancasse di valore.
Il soggetto dipendente si basa su una profonda paura dell’abbandono e fa qualunque cosa per evitarlo, oltre ad una condizione di vuoto emotivo interno che cerca di compensare. Nonostante provino sentimenti negativi come tristezza, disperazione e insicurezza, la loro intensa paura della rottura contagia il legame emotivo, rendendoli vulnerabili, patologici e deleteri. La paura della rottura è tale che rimangono in relazioni che causano loro disagio, sacrificando i propri desideri e bisogni e portando al deterioramento della loro qualità di vita.
La dipendenza affettiva si presenta, quindi, come un modello disadattivo della relazione che determinata una condizione di angoscia clinicamente significativa e deterioramento. La mancanza della persona amata può essere sovrapponibile ai sintomi tipici dell’astinenza da sostanze: ansia, irritabilità, rigidità, sensazione di vuoto e la lacerante ricerca dell’altro (craving). Allo stesso modo lo sviluppo della dipendenza si può caratterizzare da ripetute deprivazioni o rotture del rapporto. Come nella dipendenza da sostanze però, la negazione non fa altro che aumentare il desiderio e quindi aumentare drasticamente lo sviluppo della dipendenza. Così, il dipendente è alla continua ricerca della relazione, nonostante l’esistenza di problemi creati dalla stessa.
Freud parlava di coazione a ripetere, ovvero la tendenza incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate, né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze. Così, la persona dipendente ricerca inconsciamente un partner che possiede già tutte quelle caratteristiche che la porteranno a soffrire. Anche nel caso di rottura il soggetto andrà a cercare una nuova relazione in cui metterà in atto le stesse dinamiche.
Nella costruzione dei rapporti affettivi, quindi, un elemento fondamentale è la formazione dell’immagine di sé a partire dai processi di separazione e individuazione, che sfociano in quello di “identificazione personale”.
A tal proposito è possibile far riferimento alla piramide dei bisogni di Maslow (1954) che inserisce al quarto e al quinto posto i bisogni di appartenenza ed autostima.
La scarsa autostima spinge il soggetto dipendente a leggere la scarsa disponibilità del partner non come informazione sull’altro, ma come un’errata visione di sé (“non mi ama perché io non vado bene”).
La dipendenza affettiva nasce prima dell’inizio del rapporto di coppia. Questa, affonda le sue radici nel rapporto genitoriale durante l’infanzia. La qualità dei rapporti primari, infatti, determina la strutturazione dei legami futuri, in particolar modo in riferimento agli stili di attaccamento.
Chi da adulto sfocia in una dipendenza affettiva, quando era bambino ha ricevuto continui messaggi da parte dei propri genitori di non essere degno di amore né di attenzioni. Spesso sono stati dei bambini che, per essere accettati si sono trovati a dover dimostrare sempre qualcosa, imparando che l’unico modo per essere amati è quello di sacrificarsi ed annullarsi per l’altro.
È l’esempio di una paziente che, nonostante abbia chiesto aiuto per la propria dipendenza affettiva dal partner, durante una seduta di gruppo si presenta descrivendo anche il complesso rapporto genitoriale; la pressione di questi, la conseguente sensazione di inadeguatezza e la continua sensazione di dover dimostrare e raggiungere un obiettivo per la soddisfazione di tali.
L’elevata ansia per l’abbandono, un alto desiderio di vicinanza, intimità, impegno e preoccupazione ossessiva, veicolano la differenza tra l’attaccamento ad una persona e la dipendenza i quali, sembrano avere un confine molto sottile.
È stato dimostrato come il tipo di attaccamento influenzi l’espressione funzionale o disfunzionale della rabbia. A tal proposito, le persone che hanno maturato un attaccamento preoccupato, predominante nella dipendenza emotiva, sono inclini a provare maggiore rabbia e l’impossibilità di regolamentarla.
“La rabbia ha una cattiva reputazione, è spesso associata a violenza e aggressività ma anche questa emozione può avere risvolti positivi. La rabbia può essere canalizzata per far rispettare i propri diritti e apportare cambiamenti intorno a noi”.
A seguito di un rispecchiamento nel corso della seduta di gruppo, un paziente, che può vantare ad oggi di un grande percorso di cambiamento, racconta di come la presa di consapevolezza e l’espressione della rabbia prima repressa sia stata un punto importante nel proprio percorso.
Questa carica emotiva, diventa funzionale e fondamentale nella tutela dei propri limiti e bisogni, e si struttura come difesa del proprio valore personale.
Al contrario, è possibile osservare come nei soggetti incapaci di amare se stessi esprimono un tipo di rabbia “disfunzionale”.
Dunque, la riflessione conseguente alla presenza di una dipendenza, affettiva e non, si orienta alla ricerca delle motivazioni profonde ed intrinseche (piuttosto che alla sola soluzione) che spingono il dipendente a relazioni deleterie e disfunzionali. È come se la persona avesse imparato a recitare solo e sempre lo stesso copione: per cambiare bisogna arricchirne le trame ed i personaggi.
Francesca Scalera
laureata in psicologia clinica e della riabilitazione – Tirocinante Presso lo Studio BURDI
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