La Mia Psicoterapia
La mia psicoterapia
Racconto di un incompetente
Diario di una Terapia di Gruppo
Eccolo lì, seduto sulla sua poltrona preferita, gambe accavallate, braccia conserte e quel sorrisino alla Joker. Lo guardo e penso :“Ma che cazzo si ride questo?!”.
Noi qua a soffrire, a piangere, a incupirci nel disperato tentativo di capire perché stiamo male, mentre lui è sereno e rilassato. La mia esperienza è iniziata così, stravolto dagli eventi, terrorizzato dalle conseguenze, con i sensi di colpa che mi divoravano ed Emanuele che sorrideva.
Il primo periodo è servito solo a sfogare tutti questi stati d’animo che mi dilaniavano. Poi ho iniziato a calmarmi e a guardarmi intorno ed ho fissato i primi punti fermi da cui ripartire. Avevo bisogno di capire. Ero finalmente pronto a tuffarmi nel profondo pozzo delle mie emozioni. Le prime volte rimanevo con la testa fuori dall’acqua, lì sotto era tutto buio, non avevo il coraggio di immergermi.
Poi, piano piano, vedendo qualcun altro che lo faceva, ho preso coraggio ed ho provato. All’inizio non riuscivo ad andare molto in profondità, questione di allenamento, e soprattutto non sapevo dove e cosa cercare.
Allora ho deciso di ascoltare il mio Caronte, perché lui mi indicava sempre qualcosa, ma io non gli davo molto credito. Così sono riuscito a fare immersioni più lunghe, ad andare più in profondità e a cercare le emozioni giuste, perché dovete sapere che nel nostro pozzo ci sono miliardi di emozioni, a galla si trovano facilmente quelle piacevoli mentre quelle dolorose si trovano sul fondo, magari nascoste sotto un sasso oppure sotto altre emozioni, e sono proprio quelle che dobbiamo scovare, quelle che ci hanno ingannato, quelle che per accettarle e superarle ci hanno costretto a mentire a noi stessi facendoci credere di essere quello che non siamo.
Il viaggio è doloroso, è lungo e, può sembrare strano a dirlo, ringrazio la motivazione che mi ha spinto a farlo, perché comunque mi ha fatto scoprire quanto coraggio posso avere, quanta bellezza c’è nella follia di guardare il mondo stando in verticale, nel saper ridere di sé stessi, nel piangere senza vergogna, nell’amare se stessi per poter amare nel modo più sano e vero il prossimo.
Io, poi, amo in particolare quel senso di disorientamento che provo quando i pensieri si formano nella mente e iniziano a vorticare, perché è così che riesco a vederne tutte le sfaccettature.
Non potrò mai dimenticare coloro che ho conosciuto in questo percorso, nessuno escluso, ognuno di loro mi ha dato qualcosa e spero di aver dato anch’io a loro qualcosa di mio. Senza i miei “specchi” e il mio Caronte non ce l’avrei mai fatta.
Ed oggi eccomi qui, su una delle tante poltrone a disposizione, gambe accavallate, braccia conserte e quel sorrisino alla Joker.
Qualcuno si chiederà “Ma che cazzo si ride questo?!”. Mentre loro soffrono, piangono, si incupiscono per i più disparati motivi che li hanno portati qui, io mi sento sereno, rilassato, in pace con me stesso e pronto per continuare il viaggio.
claudio
ContinuaNata Una Seconda Volta
Nata una seconda volta
Sono nata una seconda volta..
Incredibile, fantascienza fino ad un anno e mezzo fa …
La me di oggi non c’era prima, prima c’era un’altra che non esiste più .
La penso con tenerezza, rabbia, disappunto.
Se l’avessi davanti vorrei prenderla per le spalle scuoterla e svegliarla..
Ma non la vedo più.. oggi riflessa nello specchio vedo ME, la vera me ..
Ed è bellissima e la amo da morire …
Che bello aprire gli occhi e vedere tutto diverso …
Che bello scoprire che quel perenne senso di colpa e di debito di inadeguatezza verso tutto e tutti : marito, figli , lavoro, genitori, amici non e’ nato con me ma frutto di schemi che ci hanno impresso appena venuti alla luce se non prima …
Oggi ho capito che cos’è la libertà.
La libertà e’ essere se stessi senza il bisogno spasmodico di eccellere in ogni cosa, senza frustrazioni se non ci riesci.
Libertà e’ scegliere con chi stare.
Libertà e’ essere gelosi del proprio tempo, del proprio buon umore..
Libertà e’ fregarsene del giudizio degli altri.
Il giudizio degli altri ci rende schiavi inconsapevoli e ci fa vivere una vita non nostra …
Oggi ho capito che cos’è l’amore.
L’amore è amare se stessi.
Accogliere se stessi ogni giorno e supportarci e comprendere i nostri desideri e i nostri disagi ed aiutarci nei momenti difficili così come facciamo con gli altri amori della nostra vita, anzi di più .
Amore significa divertirci, giocare e ridere ridere fino a restare senza respiro.
Amore significa commuoverci ed accogliere anche le emozioni negative perché sono sempre emozioni e in quanto tali sono VITA.
Oggi ho capito quanto è speciale l’essere umano.
Tutti diversi all’apparenza ma tutti uguali.
Oggi amo l’essere umano.
E voi compagni di questo mio straordinario viaggio, mi avete insegnato questo amore diverso, inatteso speciale .
Vi ringrazio per esserci stati uno ad uno quelli che sono andati via prima e che spero di riabbracciare prestissimo e poi tutti voi che lascio con commozione qui:
Eva: il candore, una rosa sbocciata davanti ai nostri occhi
Antonello: la tenerezza, l’immenso amore per Sara. Gli auguro che con la stessa intensità ami presto se stesso e poi non lo fermerà più niente e nessuno.
Raffaella: la freschezza, la voglia di vivere, la sensuale innata dolcezza.
Eldorado: è speciale e non lo sa, quando se ne accorgerà si amerà come deve
Saverio: è speciale e lo sa, ma si ama a metà …
Francesco: se deciderà di demolire, scoprirà tanta meraviglia.
Federica: la cucciola guerriera, la forza dirompente.Prenditi tutto il meglio Fede, la vita te lo deve.
Giuli, arrivata da poco, peccato … mi sarebbe piaciuto conoscerla meglio..
Carmela: fidati e affidati e scoprirai cose che ancora non sai.. pensa…
Simona: il mio antipodo, ma che figata conoscerti .
Laura: il bisturi di seta, incisiva nella sua smisurata delicatezza…
E poi il dott. Giorgio, cosa dire, mi ha preso per mano e mi ha fatto percorrere la mia vita al contrario fino ad arrivare a quella bambina dietro la ringhiera , me l’ha fatta abbracciare , rassicurare, ed insieme siamo tornate qui e lei sarà sempre con me.
Certo non mi aspetto che questo stato di beatitudine duri per sempre, ma la cosa importante è io che l’abbia provato, che io sappia che esiste che non è utopia.
E qualora lo perdessi il mio unico obiettivo sarà di ritrovarlo. Vi voglio bene
paola
ContinuaL’ armadio, lo scrigno dell’ intimità.
L’ armadio, lo scrigno dell’ intimità
Nella vita quotidiana, l’armadio non e’ solo un mobile dove riportiamo abiti e oggetti personali; e’ un luogo simbolico che rappresenta cio’ che scegliamo di conservare, proteggere e nascondere. In ambito psicologico, fare spazio nell’ armadio per qualcun altro assume un significato profondo: e’ un gesto che riflette il desiderio di aprirsi, di lasciare andare il passato e di accogliere nuove possibilita’ nella nostra vita emotiva.
Considerando il significato simbolico dello spazio nell’ armadio dal punto di vista psicologico, si puo’ dire che l’ armadio puo’ essere visto come una metafora della mente e del cuore: un luogo interno in cui custodiamo ricordi, paure, desideri e aspettative. Fare spazio nell’ armadio per qualcun altro non e’ solo un gesto pratico, ma un processo psicologico complesso che richiede : confronto con il passato.
Aprire l’ armadio e affrontare il suo contenuto significa riconoscere cio’ che si e’ accumulato nel tempo : vecchi ricordi, esperienze dolorose e gioie ormai sbiadite, in termini psicologici corrisponde al processo di elaborazione del passato. Lasciare andare cio’ che non ci serve piu’ e’ fondamentale per completare i cosiddetti “ cicli aperti” e fare spazio a nuove esperienze.
Affrontare la paura del cambiamento facendo spazio nell’ armadio, rappresenta anche la resistenza al cambiamento; fare spazio per qualcun altro implica vulnerabilita’: si deve rinunciare a un aparte del proprio controllo per accogliere l’ imprevedibile. Questa dinamica e’ legata al concetto di psicologia cognitiva di “ zona di confort”, dove ogni modifica viene percepita come minaccia alla nostra stabilita interiore.
Fare spazio per un’altra persona nell’ armadio non e’ solo un atto fisico, ma un adichiarazione implicita di fiducia e apertura. Dal punto di vista della teoria dell’ attaccamento di Bowlby, rappresenta la disponibilita’ a creare un legame sicuro, accogliendo l’ altro nella propria vita. E’ un gesto che comunica; Ho fiducia in te e nel nostro legame .
Il processo di creare spazio per l’ altro e’ accompagnato da un calendoscopio di emozioni; La prima tra le emozioni coinvolte e che emerge e’ “ La paura”. Aprire l’ armadio significa confrontarsi con cio’ che e’ stato nascosto o rimosso dalla consapevolezza. Puo’ esserci il timore di mostrare parti di se’ stessi che si ritengono inadeguate o non degne di essere viste. Molte persone provano riluttanza e resistenza nel lasciar andare vecchi oggetti, simbolo di esperienze passate. La riluttanza e’ spesso associata a un attaccamento emotivo, come descritto dalla psicologia dinamica: gli oggetti conservati nell’armadio possono rappresentare meccanismi di difesa o il bisogno di matenere il controllo sul proprio mondo interiore.
Ebbene dopo aver affrontato la paura iniziale, fare spazio per qualcun altro puo’ essere un esperienza liberatoria. Nasce un sentimento di speranza ed emozione, lasciando un ripiano vuoto nell’ armadio significa aprirsi alla possibilita’ di costruire un nuovo futuro, caratterizzato da conessioni piu’ profonde e autentiche. Carl Rogers nell’ approccio umanistico sottolinea come l’apertura e l’ autenticita’ sono alla base di relazioni significative.
Liberarsi del superfluo e creare spazio nell’ armadio e’ spesso accompagnato da un senso di leggerezza, il “ decluttering “ anche simbolico teorizzato dalla psicologia positiva evidenzia come possa ridurre il carico mentale e promuovere un senso di benessere generale.
Da un punto di vista terapeutico fare spazio nell’ armadio assume un valore importante poiche’ puo’ essere visto come un esercizio simbolico per promuovere la consapevolezza e il cambiamento, attraverso una visualizzazione guidata si puo aiutare ad esplorare cio’ che l’ armadio rappresenta, identificando le emozioni e i significati sottostanti.
Creare spazio significa, in definitiva, prendersi cura della propria interiorita’, preparandola ad accogliere nuove esperienze e legami. E’ un atto di amore verso se stessi e verso l’altro, un gesto che comunica disponibilita’ e apertura.
Lo spazio nell’a armadio non e’ solo vuoto: e’ potenziale. E’ l’ inizio di una nuova fase, dove cio’ che e’ stato rimosso lascia posto a cio’ che e’ ancora da costruire
angela ciulla
ContinuaL’ Imbarazzo
L’ imbarazzo
L’imbarazzo è un turbamento che tutti provano almeno una volta nella vita.
Lo proviamo quando ci sentiamo non all’altezza o giudicati dagli altri, per uno sbaglio o una situazione sconfortante. Può farci avvampare, grondare o sentire un forte disagio.
Quest’emozione, nonostante sia sgradevole, è importante: aiuta a comportarci secondo le regole sociali e ad emendare i nostri equivoci.
Ad esempio, se facciamo una sciocchezza, l’imbarazzo ci spinge a scusarci e a cercare di sistemare.
Il senso di colpa, tale comportamento, è frutto di esperienze vissute durante la fase infantile. Ad esempio, i bambini si scusano quando sbagliano, quando dicono una parolaccia, quando sbagliano.
Questo sistema di scuse si propaga dall’infanzia fino all’età adulta. L’adulto si scusa con il partner, la famiglia e il lavoro. Siamo fatti di scuse meno di ossa.
La ciclicità delle scuse comporta una metastasi di senso di colpa.
Senso di colpa e imbarazzo sono amiche o nemiche? La domanda non ha ragion di esistere.
L’imbarazzo è conseguente al senso di colpa, nella stessa misura in cui il senso di colpa è antecedente all’imbarazzo. Uno dei punti che crea forte imbarazzo, aldilà del rapporto con i genitori, sono i tabù.
Fortunatamente, negli ultimi anni attraverso i social e la comunicazione virtuale, i ragazzi parlano e trattano argomenti che fino a ieri, per cosi dire, erano tabù. Spesso, gli argomenti ruotano attorno alla donna, probabilmente perché la donna o gli atteggiamenti da donna generano imbarazzo. Anche qui, diventa complicato rispondere. Certamente, possiamo considerare come “la nuova generazione” sta affrontando l’imbarazzo, i tabù e i silenzi intimidatori, lo fa con destrezza, con arroganza e di diritto perché ci si riprende in toto o in parte quello che per anni è stato sotterrato. Per esempio, una ragazza non si imbarazza più se deve baciare un’altra ragazza o cambiare l’assorbente nel bagno del centro commerciale. Siamo donne, non vasi ripieni di fiori meravigliosi. Logicamente, anche l’uomo ha i suoi imbarazzi, oggetto di discussione è l’aspettativa degli altri.
L’aspettativa negli altri, si genera nell’uomo, in particolare dal confronto con il padre.
Le cause dell’imbarazzo possono essere molte e varie: una svista davanti agli altri, una colloquio arduo o la paura di non soddisfare le aspettative degli altri.
Ogni persona reagisce diversamente, ma tutti possiamo imparare a manovrarlo con alcuni tips..
Per gestirlo, può essere utile ammetterlo come una parte normale della vita.
Ironizzare su noi stessi o non prenderla troppo seriamente aiuta anche. In più, riflettere sull’esperienza aiuta a non ripetere situazioni analoghe in futuro.
In conclusione, l’imbarazzo è una sensazione normale e, se impariamo a in miglior maniera, possiamo utilizzarlo come spunto per crescere ed interagire meglio con le persone.
sharon di mauro
tirocinante di psicologia
università statale di Foggia
Il Numero Uno e il Numero Due
Il Numero Uno e il Numero Due (c)
Esprimere davvero la propria natura, o un lato di noi che normalmente rimane nascosto può essere difficile ma anche sorprendente. Spesso, fin da piccoli, impariamo a soddisfare le aspettative degli altri – genitori, amici, società – e a volte, per evitare il conflitto o la disapprovazione, ci costruiamo un’identità ed una vita che non ci appartengono davvero.
Winnicott, psicoanalista britannico, parlava di una sorta di maschera che siamo soliti indossare, come risposta adattiva, a garanzia della nostra sopravvivenza emotiva, ma spesso a scapito della nostra autenticità, della nostra spontaneità e del nostro reale essere e benessere.
La prima volta che il Dott. Burdi mi ha parlato del “Numero Uno” e del “Numero Due” sono rimasta affascinata. Credo (spero) di aver immediatamente colto il senso della loro presenza ricorrente nelle sue sedute di psicoterapia. Immediatamente ho pensato a tre entità distinte: “UNO”, “DUE” e la “Loro Relazione”.
L’immagine del Numero DUE che si era formata nella mia testa è stata quella di una figura tragica, automatica, meccanica e priva di autonomia. Era un’ombra silenziosa, che si muoveva per volontà di burattinai, prima esterni e poi divenuti interni. La sua esistenza era un eco di ordini che non comprendeva ma eseguiva. Un corpo che si muoveva, il cui cuore non batteva di sue emozioni. Un fantoccio che danzava al comando di mani invisibili. I suoi passi perfetti erano privi di anima. Non viveva, ma si muoveva; non decideva, ma agiva. Nella mia mente era un servitore fedele: svolgeva il suo compito ma non chiedeva mai perché.
Nessun pensiero scomodo lo attraversava, nessun dubbio lo tormentava, ma i suoi occhi erano spenti come una fiamma mai accesa. Se avesse avuto sogni, non so dirlo. Ma certamente gli mancava la libertà. Praticamente ero uno schiavo perfetto. Eppure, nel suo cuore meccanico, c’era un vuoto che nessuna obbedienza poteva mai colmare.
Il Numero UNO era invece un sogno silenzioso. Culla di un’armonia che tutto avvolge. Viaggio eterno, senza destinazione. Nella mia mente era liscio e puro, come l’acqua che scorre. Ogni suo punto era equidistante dal suo centro: il cuore, la sua anima, la sua natura. Il suo centro era il suo segreto: offuscato, nascosto, ma presente. Non conosceva spigoli né angoli da temere. Solo curve morbide. L’ho sentito come un abbraccio che non stringeva. L’ho percepito come una figura armonica da sempre presente, che non conosceva confini, né rotture. In Lui c’era la vita infinita.
La Loro Relazione? Un interminabile continuo conflitto, un dialogo muto di presenza e assenza, un continuo gioco di vicinanza e separazione, sottomissione e dominanza che raccontano una storia senza bisogno di parole, ma piena di dolori ed incertezze.
Il Numero UNO e il Numero Due sono in realtà lo strumento utilissimo, ideato e utilizzato da Giorgio Burdi nelle sue sedute di psicoterapia, per stimolare riflessioni profonde sul concetto del “Sè autentico” distinto dal “falso se”: la nostra vera essenza; chi siamo per davvero; quali sono i nostri desideri piu’ profondi, da dove provengono le nostre convinzioni piu’ radicate e quali sono quelle più autentiche. Lo scopo della psicoterapia di Burdi, è indurre al recupero della propria autonomia emotiva e della capacità di vivere pienamente, e secondo le proprie attitudini più profonde.
Uno e Due convivono dentro ognuno di noi, creando una dinamica complessa. Uno rappresenta la nostra essenza autentica, che ci parla di continuo con una voce flebile ma tagliente come un bisturi, è ciò che siamo profondamente, con i nostri desideri, bisogni e inclinazioni naturali.
Due, invece, si sviluppa attraverso i primordiali processi educativi, come un meccanismo di difesa, una “maschera” che ci aiuta a conformarci alle aspettative familiari, sociali, o culturali, spesso per proteggerci da rifiuti o traumi emotivi. Nel corso della vita, queste due parti restano spesso in conflitto: In certe situazioni, il nostro Numero Due può prendere il sopravvento e, come un servitore fedele, può spingerci a comportarci in modo da compiacere gli altri o evitare il giudizio, a scapito della nostra autenticità, anche facendoci agire in un modo inappropriato ed incoerente a noi stessi.
E generando, cosi’ frustrazione, insoddisfazione, ansia, ecc. Tuttavia, il nostro Numero Uno rimane sempre presente, anche se, talvolta, può resta schivo, timido, nascosto o represso.
La relazione tra UNO e DUE, il dialogo muto, racconta una storia: la nostra e determina il suo destino.
Il compito della maturazione psicologica è quello di riconoscere quando il nostro Numero Due ci domina e lavorare per far emergere il nostro Numero Uno, riducendo il divario tra ciò che mostriamo al mondo e chi siamo realmente. Il nostro Numero due, in questa ottica può essere un motore di crescita e cambiamento nel metterlo da parte, conservando con esso un dialogo autonomo.
Convivere con entrambe le parti significa accettare i nostri punti di forza e alle volte la debolezza del dover cedere, con tutte le influenze date dalle nostre esperienze passate, dalle circostanze attuali e dalle nostre risposte emotive e mentali, agli eventi che affrontiamo, ma riconoscere la nostra realtà presente, momento per momento, e capire che siamo in un continuo “lavoro in corso”.
Un viaggio intercontinentale senza ritorno e senza destinazione fissa. Convivere con entrambe le parti significa imparare a bilanciarle, lasciando che il Numero Uno emerga sempre di più, come avente l’ assoluto diritto al proprio spazio di vita, senza la necessità di nascondersi dietro il Numero Due.
Riconoscere che certe “disposizioni” non ci appartengono, ma sono state “ereditate”, oppure sono state una risposta adattativa ad un qualche bisogno dell’infanzia, è “nutrire il Numero Uno”; Essere consapevoli delle “maschere” che indossiamo e cercare di ridurre la distanza tra come ci presentiamo agli altri e come siamo interiormente è “alimentare il numero uno”; distinguere tra ciò che è una preoccupazione reale e ciò che è un condizionamento è ancora “dare pulsione al Numero Uno”; Ma anche esporsi a piccoli rischi in maniera controllata o prendere decisioni che implicano rischi calcolati, sperimentando fiducia in sé stessi e scotomizzando paure interiorizzate può essere “nutrire il numero UNO”.
Di contro, le aspettative degli altri, o le loro critiche, le pressioni sociali sono l’armatura del servitore fedele del Numero Due. Osservare la relazione tra UNO e DUE, è il modo per liberarsi dai condizionamenti e tirare fuori il proprio Numero Uno. Ma tutto questo non esime il soggetto analitico da una lotta, il quale per favorire l’ emersione del suo Uno, avvia una sua grande rivoluzione.
E’ questo un punto che richiede il coraggio di guardarsi dentro, l’accettazione della propria unicità, e l’impegno costante per vivere in sintonia con le proprie caratteristiche ed il proprio baricentro, senza cercare di conformarsi a un’immagine ideale o a quello che gli altri hanno deciso e si aspettano da noi.
In sintesi, Non si tratta di eliminare uno dei due, ma di integrare entrambe le dimensioni in modo armonioso, auto validando l’ opera d’arte di se stessi.
Valeria Carofiglio
Tirocinante in Psicologia Clinica
presso lo Studio Burdi
I Sottili Fili del Potere
**I sottili fili del potere**
Ogni comportamento è una comunicazione che prevede e nasconde una o più motivazioni, consapevoli o meno. Utilizzando l’espressione di Paul Watzlawick, secondo la quale “non esiste la non comunicazione, ma tutto è comunicazione”, possiamo affermare che c’è sempre una motivazione dietro qualsiasi comportamento, e che tutto è sempre motivato da qualcosa di oscuro o evidente.
Nelle relazioni umane esistono comportamenti chiari, ambivalenti e, in molti casi, o bui nel loro significato. Le motivazioni rappresentano le cause che determinano i comportamenti. Motivazioni chiare ed esplicite, per la loro onestà e trasparenza, favoriscono relazioni sane e fluide.
La maggior parte delle motivazioni umane risultano essere ambivalenti, perché il soggetto non si conosce o non sa perché si comporta in un certo modo, oppure non comprende perché convive con determinati stati d’animo. La mancanza di chiarezza del soggetto diventa mancanza di chiarezza anche per il proprio interlocutore.
La maggior parte delle volte siamo costretti a interagire con un mondo di persone che non sanno perché agiscono o sono in un certo modo; si immagini dunque il caos in cui siamo costretti a vivere. Due persone che non hanno consapevolezza di ciò che provano reciprocamente si trovano già in una condizione di guerra.
L’inconsapevolezza, così come la consapevolezza, hanno in sé un potere: quello di condizionare gli altri. Entrambe rappresentano i fili del burattinaio che muove le relazioni. Bisogna fare molta attenzione all’utilizzo di ogni parola espressa: essa può sicuramente avere un potere curativo, orientato alla felicità, oppure manipolativo.
Ogni parola conduce il ballo del potere: nelle relazioni diventa l’ arma di un potere contro un altro potere, oppure un potere verso l’alleanza di ragioni. Tutte le ragioni, quelle in accordo o in contrapposizione, hanno il loro potere. La relazione umana conserva, nel proprio istinto, il predominio dell’ uno su l’altro. Originariamente, questo nasce da un atteggiamento primordiale e arcaico: quello di tracciare il proprio perimetro.
L’uomo dell’analisi è portato ad abbattere i perimetri. Non ha paura di perdere se stesso o di fallire, perché si possiede da solo; accetta e sfida il potere degli altri su di sé; non si nasconde per timore, non parla di destino e non si lascia né manipolare né condizionare. Se si determina, ha comunque esercitato il proprio potere su se stesso e non sugli altri, nel rispetto di tutti.
Le persone confuse o non chiare vanno temute nell’esercizio delle loro parole o delle loro azioni: esse, in un primo momento, generano malessere. Il malessere subito impone una riflessione su quali parole o azioni lo abbiano generato. Il malessere provato, è determinato dal potere che si concede all’altro e che viene interiorizzato. L’altro entra dentro di noi con il suo potere, sotto forma di malessere. Questa concessione che facciamo agli altri è il potere che diamo loro di risiedere dentro di noi.
Quando sistematicamente rimuginiamo su una questione o un torto subito, dedichiamo ore, giornate e persino anni a pensarci. Diventiamo prigionieri di quei monologhi, ossessionati da soliloqui estenuanti, intrattenendoci con il nostro interlocutore mentale in flussi continui di preoccupazioni, succubi del suo potere, che si incastra dentro di noi, agisce e ci possiede inconsapevolmente come un demone, come in uno stato di trance ipnotica manipolativa. La fine di tale delirio verte solo quando decidiamo, potenzialmente, di chiarire di persona, dialogando sul conflitto che ci attanaglia.
Il potere si esplica sempre su due poli: quello dei vinti e quello dei vincitori. Dove ci sono conflitti, questo dualismo è onnipresente, e le dinamiche relazionali si pongono su un piano di opposizioni, di continui tira e molla su chi deve cedere e chi prevalere, su chi deve vincere e chi soccombere. Se si vuole vivere, la vita impone la propria difesa innata contro questo meccanismo, per la propria sopravvivenza,.
Non c’è nulla di strano, di vergognoso o di sbagliato in tutto questo: la vita è così e bisogna accettarlo. Il conflitto è legge ed onnipresente e la vita è conflitto. Chi non vuole capirlo, non è ancora nato: vive in una fiaba, ma la realtà può diventare più bella di essa, perché il conflitto è la rivendicazione delle diversità e richiede un confronto continuo, può trasformarsi in bellezza, arte, unità, progetto, e soluzioni per chi vuole trovarle.
Il conflitto non annoia mai: vende, intrattiene, dà sempre pensieri; paradossalmente, è ciò su cui si basano le guerre, i telegiornali dell’orrore, tutto ciò che non cerca mai soluzioni.
L’uomo che desidera soluzioni è un uomo risolto, è sul gradino più elevato dell’evoluzione. È un uomo analitico, un uomo umano, che non disdegna il conflitto perché ad esso risponde, lo risolve e, attraverso di esso, unisce le differenze, ricostruisce nuovi rapporti e li ama.
Per crescere ed evolversi, è necessario attraversare il conflitto e confrontarsi con il potere: non si possono evitare, se si vuole costruire qualcosa di serio.
giorgio burdi
ContinuaBigotta
Bigotta
È una persona esageratamente devota, che aderisce in modo rigido ed incondizionato, ai precetti, ai modi di dire e ai principi popolari e alle sue norme sociali. Rappresenta la massima espressione della contraddizione e dell’ ipocrisia. Tali principi vengono utilizzati in automatico, come dei mantra e come uno scudo protettivo, per difendere le proprie fragilità, tramite rimuginazioni di pensieri, invocazioni ed aforismi automatici, per ribadire che cosa pensa il popolo che regna dentro di sé; ella, se decide di vivere, convive eternamente col senso di colpa.
La bigotta è un animale domestico preistorico che non si estingue, intransigente, ha un cuore di pietra, i suoi neuroni li usa per covar le uova e crescere pulcini, devota alle tavole dei tabù, scrive con lo scalpello i suoi editti, non parla mai con se, ma con i saggi della sua caverna.
Procede con i paraocchi a testa bassa, è un asino sottomesso, vede, a due centimetri da se, solo i suoi totem, tira dritto col, “non ti curar e fidar di alcuno”, è irriconoscente se l’ hai aiutata, è dura come un tufo, irremovibile come un bisonte, figlia della sua ossessione, a protezione dei propri feticci, teme di uscire dal proprio seminato, è complicato farle vedere la naturalezza, filtrata dai mostri del proprio passato.
Non si direbbe, ma è una preistorica contemporanea, una radical chic conservatrice, una global, negazionista ad oltranza, contestatrice delle scienze, è analfabeta di se che non sa come funziona, ma è irremovibile e severa come una Rottenmeier, saccente ed arrogante, non concede chance, affogata nella sua boria ammalata di princípi, teme sempre di essere fregata.
Ha una gran voglia di desideri, perché, da una vita, si nutre solo di doveri , ma se le prospetti dei fuori tema, gioisce, ti ringrazia all’ infinito per la gioia che ha provato. Ma l’abitudine di una vita, timorosa di tutto ciò che è nuovo, con la sovrana diffidenza, la riporta indietro sui suoi passi, all’ interno nel suo ovile e al suo gregge.
La bigotta è una profonda insicura, convinta delle sue incertezze, fa caso alle sue fragilità, solo quando va in crisi, poi si pente e rincomincia, presume di sapere come si vive, ma non lo fa, ma se la orienti oltre i confini, vola, ma poi si schianta e fa game over, su tutti i suoi timori.
La bigotta interpella solo chi la avvalora, non dialoga, si impone, interpella i suoi avi, di coscienza non sa di averne, di intelligenza meno che mai, si isola, si chiude e soffre, non decide mai di suo, se non con il suo numero due. Non è mai saggio, chi non rosica un cambiamento, chi non si muove perché teme di sbagliare, muore chi si ferma per il timore dell’ errore, vive chi si lascia più andare.
Cieca per i propri limiti, intollerante per gli eventuali altrui, accusa, punta il dito e chiude, ti sfiducia alla prima occasione, non conosce ragioni e a prova della sua nevrosi, non la senti e si crea il mostro che non c’è. La bigotta è un iraniano, se prendi un caffè con una donna, ti spara, non le permette di sedersi tra i banchi, se non sa è meglio, le soffoca l’ identità col burqa, la preferisce chiusa in casa a venerare la tradizione dei propri avi carcerieri.
Chi Studia, chi fa scienza, chi fa analisi, si emancipa, vede oltre lo scontato, vede l’ immenso, si gestisce in autonomia, eleva la sua torre, mattone su mattone, per sfidare i turbamenti, le tempeste, i limiti delle cose scontate, delle consuetudini, va oltre i limiti dei limiti. Ogni cambiamento sgomenta, fa sempre temere per i propri principi.
Si emancipa solo, chi guarda l’ orizzonte, oltre chi pone i confini.
L ‘ orgoglio è una vergogna, perché è ignoranza, è una ghigliottina che genera la guerra, perché , lasciare i propri passi a vantaggio di quelli nuovi, può aiutare a migliorare e a comprendere che, la felicità inappagabile, esilarante, può essere veloce e a due passi da noi.
Insomma, che dire ! È una fatica essere bigotta, si vive davvero male, è un lavoraccio, straziante ed usurante, si invecchia molto prima e ci si ammala, sfibra e ti fa a brandelli per una vita intera. Essere bigotta è una agenzia complicazioni affari semplici, è una impresa fallimentare fondata sul no-profit. Basterebbe solo e sarebbe necessario, srotolare semplicemente la propria naturalezza e spensieratezza e tutto sarebbe tutto più spianato.
Attraverso l’ aiuto di qualcuno si può rileggere il proprio manuale, sul come essere più colti con se stessi e naturali e lasciarsi un po’ più andare, sul come gioire di più la vita, da poterla portare fino a dieci, ad un livello intenso. impresa molto ardua per una fedele ad essere Bigotta DOP, ( Bdop), perché se poi riesce ad essere se stessa, temerà sempre lo scontrino col conto da pagare. Uff, che vita scontata, che peccato ! Auguri.
giorgio burdi
ContinuaLa Lettera Analitica ( LA ) e la Lettera Terapia ( LT ).
La Lettera Analitica ( LA ) e la Lettera Terapia ( LT ).
Metodo BURDI (c) . Un potente strumento di cambiamento.
Gli eventi indelebili, che restano all’ interno della nostra mente, sono quelli traumatici. Per quanto ci possiamo impegnare per dimenticarli o cancellarli, questa, resta un’ impresa prevalentemente impossibile.
L’ identico paragone possiamo farlo con i file trentennali contenuti in un computer, essi restano dimenticati e nascosti fra le migliaia di cartelle, come se fossero all’ interno di scatole cinesi introvabili, ma, se pur occultate, rimangono sempre esistenti. Nella nostra mente non si cancella nulla, i ricordi restano nella nostra memoria per sempre, anche se la nostra percezione è esattamente contraria, dal trauma si esce ma non si cancellano mai, si possono invece “bonificare” .
Le parole mai dette, le situazioni subite, i gesti aggressivi o quelli violenti, le trascuratezze, le assenze e gli abbandoni, le umiliazioni inaspettate, da parte del padre, della madre, dei partner, degli insegnanti, dei bulli, dei colleghi o deidatori di lavoro, dalla memoria, non si cancellano mai, esse restano mescolati alle emozioni più logoranti, si incrostano nell’ anima come delle placche o pietre di calcare.
La nostra mente è una gran signora, pur di permetterci di vivere in una parvenza di serenità, diventa altamente difensiva della nostra salute mentale, ci favorisce di non ricordare nulla nell’ immediato, nasconde, accartoccia e zippa, qualsiasi situazione del trauma, adoperandosi in quel meccanismo che psicanaliticamente viene definito, rimozione, che per noi non significa affatto eliminare, ma , occultare nell’ oblio.
Per poter ricordare basterebbe, desiderarlo, la nostra memoria antica facilmente può riapparire sotto forma di sintomo o di sensazione rievocativa soltanto attraverso alcune percezioni soggettive, parole specifiche o comportamenti presenti, suoni… ecc.
Alle volte basta un semplice profumo, una sfumatura di un colore, un azione o un pensiero, da poter turbare un istante, da far abbassare o girare il capo, da far riemergere l’ immenso dispiacere depositato.
Nel nostro percorso di vita, veniamo costernati da conflitti e traumi passati, che continuamente disturbano il percorso dell’ esistenza presente e che ci rendono infelici oggi; il passato diviene l’ artefice del cambiamento presente, del nostro umore e delle nostre relazioni attuali, che inconsapevolmente restano di gestione della nostra memoria.
La memoria del trauma passato contiene tutte le istruzioni per l’ uso per come vivere il presente, il passato funge da veggente, sa tutto del presente, sa come andrà a finire, per essa, era già tutto chiaro essa si impone ed agisce con un dictat, tracciando itinerari già visti, di pensieri e di condotte, che col presente non dovrebbero aver nulla a che fare, ma si impongono ad esso. Ogni passato non superato, decide sempre per ogni presente. La memoria del trauma è come una cataratta che non ci permettere di guardare in avanti la realtà, ma il limite dell’ occlusione .
Certe relazioni non funzionano perché, nel decorso personale, vengono tracciati gli orientamenti relazionali presenti e futuri, contaminati ed infestati dal passato. Nella scelta del partner, paradossalmente vengono selezionate persone e situazioni tali da conservare la fedeltà alla tradizione passata, in modo tale da riperpetuarlo, quasi nel tentativo involontario di ripercorrerlo, per risolverlo. Ma la risoluzione, in effetti, attraverso questa modalità, non accadrà mai e non condurrà mai a nessuna soluzione, a nulla di buono, anzi, per quanta tolleranza si potrà avere, complicherà notevolmente col tempo la relazione, fino alla sua disgregazione.
La lettera analitica ( LA ), che indichiamo in Studio, è uno strumento potentissimo di superamento e di “bonifica”, che ripercorre a ritroso e scandaglia la memoria devastante più arcaica di se, che resta legata e confusa per condizionamento al proprio presente. Essa è uno strumento di indagine dentro di sé, avente come obiettivo il rivisitare il conflitto o il trauma, in tutti i loro dettagli, descrivendoli e scrivendoli dettagliatamente.
A primo impatto, la reazione che riscontriamo, alla richiesta di scrivere sul trauma, è di totale rifiuto e resistenza, tale alle volte da interrompere il percorso di terapia, indicato centinaia di alibi. Avvicinarsi al trauma determina sempre una fuga da esso. sembra così impossibile concedersi l’ accesso.
Superata la paura, aumentata la fiducia verso il terapeuta, si chiede al paziente di iniziare a scrivere in modo random, partendo dal primo pensiero, dal primo ricordo o dalla prima sensazione, avendo di vista la situazione o la persona turbativa, accedendo al ricordo un gradino per volta, tradotto rigorosamente in parole scritte che non vanno mai lasciate solo ed esclusimamente pensate.
Gradino dopo gradino, il soggetto si renderà conto di scendere, rampa dopo rampa, le scale dei suoi ricordi, fino ad avvicinarsi all’ epicentro del suo trauma, dal quale ne potrà solo uscirne, con la guida psicoterapica, dopo esserci solo entrato. Gli si chiede di descriverlo, in tutti i suoi particolari, per iscritto e dettagliatamente, nello stesso identico modo di descrivere la pellicola di un film, fotogramma per fotogramma, con tutte le emozioni ad esso interconnesse.
Tale lavoro equivale ad una immersione nelle profondità dell’ inconscio, ed ha lo scopo di collegare il trauma passato, alle disfunzioni del proprio presente e liberarlo da esso.
Il confronto diretto, solamente a voce, con l’ oggetto che è la causa del trauma, non ha un impatto terapeutico, così come accade invece attraverso l’ utilizzo della LA. La lettera analitica ha la funzione di scandagliare, tirar fuori tutti i pezzi del puzzle, pensiero dopo pensiero, parola dopo parola, il ricordo dopo ricordo di relazioni folli ed ostili subiti, realizzando una mappatura di tutto. Nel confronto diretto verrebbero fuori solo frammenti del disagio accumulato.
In questo modo, si da inizio, dal primo pensiero fino all’ ultimo, di rappresentare il turbamento, compattando il puzzle, per poi, per poi avere una visione chiara dei motivi delle diverse sofferenze.
L’ avvicinamento al trauma, attraverso la LA, rappresenta inizialmente l’ avvio e l’ inizio della terapia e della risoluzione dello stesso, attraverso la LA, il paziente illumina la sua consapevolezza sul perché il proprio presente viene, in modo tanto così evidente, condizionato e determinato, in senso disfunzionale dal suo passato.
La LA ha il compito di convincere il paziente, di quanto siano collegati e strettamente interconnessi il suo presente al suo passato arcaico, e attraverso quel filo di pensieri e di parole che ripercorre nella lettera, spiega come i suoi disturbi abbiano quella evidente logica ed origine, nel suo passato. La LA collega, in un ping pong e veloce, e il presente al suo passato e viceversa.
La LA mentre viene stilata, diviene Lettera Terapia LT, nel momento in cui, le situazioni affioranti, diventano rievocative delle emozioni presenti lì dove si sono originate. La LA diviene LT, se le emozioni emergenti, vengono ,al loro affiorare, espresse nella loro massima potenzialità e al loro massimo livello. Succede, molto spesso, che lo stilare della lettera e la lettura della stessa, producano del pianto, della rabbia o delle paure. Per far sì che la LA diventi LT, le emozioni emergenti, non devono essere mai trattenute , ne per vergogna, per imbarazzo, per senso di colpa o per ritegno, ma evacuate totalmente.
Per favorire la massima riuscita terapeutica e la sua massima espressività risolutiva, la LA :
1 va scritta innanzitutto per se stessi, in modo veemente, senza alcun freno inibitorio o imbarazzo, in modo diretto, crudo, senza veli o peli sulla lingua, manifestando, per iscritto, tutto ciò che è stato taciuto alle volte per decenni, va esternato tutto il non detto, tutte quelle verità negate e taciute, per favorire quel riscatto di giustizia tanto sospirata. La LA va scritta, senza alcuna educazione o moralismo trattenitore, senza edulcorarazioni, ma esternando tutto il peggio e tutto l’ affetto che ne resta;
2 ,non va letta o condivisa successivamente con nessuno, se non, quanto prima, con lo psicoterapeuta. Parlarne ad altri, permetterebbe di ritrattarla, contestarla e rielaborarla sulla base dei sensi di colpa indotti da terzi, sabotando il processo terapeutico finale;
3 va letta in terapia individuale o tanto meglio di gruppo, per dilatare ed espandere l’ effetto emotivo, per decongestionare in modo più radicale la memoria del trauma dalle sue emozioni inibite, e non da poco, per rompere l’ atavica omertà relativa al silenzio, che la rendeva complice al carnefice, attraverso quei traumi taciuti, che al momento andavano denunciati;
la LA ,letta in terapia di gruppo, luogo percepito come dell’ unità, lega emotivamente ancora più con lo stesso; il gruppo rappresenterà il luogo di ritrovamento di una nuova famiglia accudente e formativa, la stessa che verrà, di là a poco lasciata, a vantaggio della propria autonomia, in contrapposizione alla dipendenza generata nella vecchia famiglia, nel tentativo reiterato di cercare in essa un amore impossibile da generare dipendenza;
4 la LA, non va consegnata all’ interessato, ma letta direttamente, vis a vis, occhi negli occhi, pianto nel pianto, al fine di sbriciolare il mostro del trauma, guardandolo in faccia, attraverso quel confronto tra la propria potenza ritrovata e la ridimensionata realtà diretta;
5 nella lettura, della LA, non deve interessare se l’ interlocutore, comprenda o meno, l’ importante è aver affermato se stesso, affrontato il mostro a testa alta guardandolo, così da vefetlo per quello che realmente è, non più oggetto fobico, ma piccolo, patologico ed insignificante.
Seguendo le procedure da 1 a 5, alla fine del processo, il paziente, il più delle volte, avverte uno stato di confusione conclusiva e di svuotamento, avviando nei giorni a seguire, un graduale e costante recupero di sé e della sua condizione di serenità e un miglioramento del proprio stato mentale e di salute psico fisica, avvertendo una maggiore potenza di se ed un inizio di cambiamento e di rivoluzione positiva nella sua vita a seguire.
Per l’ interlocutore della lettera, invece, può capitare che prenda consapevolezza e chieda perdona all’ interessato per aver inferto tanta sofferenza ingiustificata, assistendo, alle volte, ad un recupero del rapporto, demolendo quel muro atavico e quel vissuto traumatico che regnava nella relazione e nella mente del paziente.
Se l’ interlocutore, in oggetto, resta irraggiungibile o è deceduto, la lettura intenzionale, in psicoterapia individuale o di gruppo, ha un pari potere terapeutico se accompagnato dalla funzione simbolica del bruciare la lettera, dopo la sua lettura. La mente parla, vive e si nutre di simboli, assocerà alla fiamma della lettera bruciata, il decretare la fine della sofferenza, sotto forma di cenere.
Seguendo la sequenza metodologica dai punti 1 a 5, assistiamo a quell’ operazione che definiamo di “bonifica” e di cambiamento, per l’ evacuazione di quelle emozioni malefiche, che facevano del trauma, del paziente, la sua involontaria onnipresenza ed impotenza e ne detta, da quell’ istante in poi, una metamorfosi sorprendente del modo di sentire, di pensare e di vivere il proprio presente e futuro in modo rigorosamente più leggero e produttivo.
La LA e LT avviano la decongestione e l’antiffiamatorio immediato dell’ anima, esse sono in grado, alle volte, di produrre convulsioni corporee involontarie, anche molto intense e non facilmente gestibili, dolori e contratture addominali, in grado di scaricare le emozioni bloccate del trauma.
Quest’ ultima fase, per alcune circostanze traumatiche specifiche, viene anticipata da sintomi quali: aumento del battito cardiaco, sensazione di vomito, apnea, momentaneo stato confusionale e di assenza, tremori, pianto, agitazione occasionale, clonie e spasmi muscolari. Tutto ciò avviene durante l’ esplicazione della lettera e convive con una condizione di turbamento gestibile, insieme ad una piacevole , predominante e netta sensazione di liberazione.
La LA e la LT, rappresentano una metodologia, sperimentata e curata in Studio da più di venti anni e sono rappresentativi di una metodologia di indagine in sviluppo più profonda dell’ anime e di pianificazione dettagliata di una psicoterapia efficace, è tra i metodi più veloci, in termini di effetti psicoterapeutici duraturi.
giorgio burdi
ContinuaChiacchiere
Chiacchiere
Le chiacchiere sono leggerezza, nuvole, desiderio di ossigeno e di respiro, di volare sempre in alto, di cambiare, ti staccano la spina una gran voglia di andare in standby; esse sono la pausa e la vacanza, la merenda e la ricreazione, il picnic, il tiro al pallone e la passeggiata nel bosco, il bagnasciuga e la sdraio sotto l’ ombrellone mentre mangi una fetta di anguria ghiacciata.
Le chiacchiere sono tutte quelle cose inutili, frivole che non devi riordinare, che ti sbracano e ti lasciano andare, che ti cambiano la vita; sono le mille paia di scarpe o un solo tacco a spillo, cento profumi, un fondo tinta, il fard, il rossetto, i mille colori di uno smalto. Le chiacchiere danno il senso alla vita, che sarebbe pesante come un masso. La vita non è seria, senza le chiacchiere, perché la vita stessa non è seria, perché ha il suo tempo, finisce, è fugace ed aleatoria.
Le chiacchiere sono sobrietà, ti fanno fare a meno anche dell’ essenziale, perché se sei povero non ti fa pensare, se sei ricco, non sai che fartene, se stai bene, ti fanno stare meglio e se soffri, ti tirano su.
Se mangi chiacchiere, sogni e se le realizzi non sogni più, hai solo bisogno ancora di tante altre. Chi sogna, non perde tempo e fa chiacciera, perché essa ti distacca da tutto, spiana la strada, ti fa andare oltre, ti sprona, raccoglie i frutti e notizie utili per proseguire.
La chiacchiera ti fa ridere, è una comica, ti fa scherzare ed insultare, senza risentirne, abbatte le barriere,
ti accorcia le distanze, i confini, ti fa toccare, baciare, abbracciare, prendere le pacche sulle spalle, ti fa voler bene e sentir bene, ti rende simpatico, ti fa brindare con dei calici fruttati al nero di Troia. La chiacchiera è godereccia. È un dolce frollo per conversare, è una farfalla che non pensa.
Le chiacchiere sono come le foglie al vento, che fanno poesia, cadono per fare il tappeto dell’ autunno, sono un fiume in piena, creano corrente e profumi d’ acqua, trascinano scorze d’ albero pietre e tronchi, sono una ragnatela, intricata di pettegolezzi, storie amene e racconti di una fiaba.
Esse sono scintille, che attraverso un soffio accendono la curiosità, coinvolgono e aggregano, sono un arcobaleno che colorano fino allo sfinimento la giornata, con racconti ripetuti fino allo spasmo, all’ esaurimento della risata, attraverso continue analisi differenti.
Sono come un labirinto, nel quale smarrirsi senza logica e all’ avventura senza volerne uscire, se sono molestie, sono un mare di parole, in cui è facile affogare, se non si sa nuotare. Sono un fuoco d’artificio, brillano per un istante e poi svaniscono nel nulla, sono una festa che dura il tempo che trova, è effimera, inutile, ma è tutto ciò che resta .
Le chiacchiere sono un giardino in fiore, dove ogni parola è una spina o un petalo che fanno un bel prato, sono una danza, un flusso di movimenti che delineano l’ armonia di geometrie circolari, è la grazia della sensualità dei veli che accarezzano la pelle e l’ aria. Sono una corrente d’aria che passa tra i capelli, tra le stanze afose, mentre sei seduto su un gradino di travertino mentre mangi un gelato. Chi fa chiacchiera, consuma, non è avaro, è una cicala che sa essere una formica.
La chiacchiera è come il fumo dell’ antico toscano, lascia il profumo e la scia, la luce la rende nuvola sfiora ed avvolge; è un fuoco di paglia, una vampata di luce, un calore che diventa cenere. Sono come la schiuma per la barba, ammorbidisce, decongestiona e scompare se la radi; è la spuma della birra nel boccale, se non ci fosse non sarebbe festa; è la schiuma di mare che ti schizza sulla pelle; sono le bolle di sapone, magiche, gonfie, brillanti per un istante che ti fanno sentir bambino per istante e poi scoppiano.
La vita sarebbe una chiacchera, se non ci fossero chiacchiere e chi non chiacchiera è triste e pallido, non è una persona seria.
giorgio burdi
ContinuaL’ Invidioso
L’ Invidioso
L’ invidia, dal punto di vista psicoanalitico, viene considerata una difesa contro sentimenti di impotenza e inadeguatezza, in cui l’individuo percepisce una condizione di privazione e mancanza dell’ essenziale per il proprio benessere. È evidente che si tratta di una condizione psicologica, più che solo materialistica.
Freud, la collegava alla fase fallica dello sviluppo psicosessuale. Attraverso l’ “invidia del pene” per le donne, mentre per l’ uomo alla messa in discussione della perdita della sua potenza sessuale: l’ invidioso è una isterica o un impotente.
L’ invidioso, nella sua complessità, è un uomo adagiato su se stesso ed inconsapevole, afflitto dal sentimento della privazione e della sfortuna, dedica gran parte del suo tempo nell’ osservare gli altri, non si affaccenda, non conosce la fatica per emanciparsi, è accartocciato su se stesso, è a “folle” e attende che arrivino tempi migliori fortunati, è retratto ad una condizione neolitica, chiuso come un “orso” , introverso, pensa in vernacolo e farfuglia aforismi social.
L ‘invidioso ti conta gli errori, è un rosicone, di suo ha ben poco, si erge solo per correggerti . Se è in auto, ti sorpassa, ti taglia la strada e rallenta di colpo, è un commerciante che vive della sua pochezza che ostenta, è un triggianese che non è nato barese o milanese.
L’ invidioso, è un bullo, un ossessivo auto condannato che guarda fuori, è una maestrina con la penna rossa che ti bacchetta, fa pettegolezzo, interroga senza spiegare, non da risposte, cela la sua privacy e le proprie malattie, come fossero disgrazie, è un ficca naso che ha solo orecchie, un impertinente che ti spara solo domande e se scova fragilità, ha sa di cosa gioire.
Ti ruba informazioni, è un cleptomane che gira per le tue stanze, guarda in tutti i pensili, vive in tana come un predatore in agguato, non fa cene e dagli amici si nutre a sbafo, di suo consuma molto poco, risparmia sull’ aria che respira , usa le unghie come stuzzicadenti, è un avaro bloccato alla fase anale, dispensa con molta parsimonia, è amico per opportunismo, critico e giudice di tutti, è un maniaco del controllo, del cambiare le carte in tavola, è un radar, misura tutto per difetto; secondo Jung, vive immerso nelle ombre della propria famiglia.
Nella scala genealogica, si pone tra un umanoide ed un umano, tra un asociale ed un sociopatico, è un maleducato, se è generoso è per competere, studia su Facebook , è un isolato, piange sul bordo del letto la sua uno depressione, cinicamente ti sorride, dal viso smunto, si logora nell’ acido muriatico del proprio fallimento.
L’ invidioso, è spento, vive nel buio, su una vedetta, al cospetto delle luci altrui, non curante dei loro sacrifici. Il suo pasto preferito è la frittura, più frigge per te, più ti riconosce il tuo valore. Si biasima e si disprezza da solo, per tutto il tempo che spreca nel non perderti di vista. L’ invidiato è un protagonista, l’ altro uno spettatore, una marionetta, un osservatore, uno che ti ronza attorno come una zanzara, è un avvoltoio che attende di ridere di te, finchè tu diventi una carogna.
L’ invidioso compete, ti sfida e ti diffama. Sei il suo metro di misura, se hai uno, ne vuole due, se dici tre, ne dice sei, si arrampica sugli specchi pur di raggiungerti, ha poche idee, solo le tue, crede nel suo fato avverso, è ludopatico, non paga nessuno, è sempre in pensione, ripiega sul divano per le serie taroccate.
Ti fa i conti in tasca, è uno scroccone e per lesinare, lacera la mortadella con le dita, è senza ritegno. L’ invidioso ha la guerra in testa, si logora da solo, perché non sa come fermarti, ti vorrebbe ammalato, e più vai avanti, più si frustra.
I suoi pensieri, ti contorcono intorno ad un filo spinato, nel quale ti avvolge nel suo reticolato, se in lui incappi, ti immischi, non sa da dove colpirti, piu picchia, più si fa male se resti in piedi, è un condannato alla sua stessa isteria.
L’ invidioso è un superstizioso, fa e teme le sentenze, le influenze malvagie, è uno scaramantico, un complottista, è la voce del popolo. L’ invidiato non conosce superstizione, è uno studioso, un uomo di scienza, con fatica non perde tempo, non crede nell’ invidia e negli spergiuri, se ne fotte dei riti vudù, dei maligni, cartomanti e degli sciamani.
L’ invidiato lo schiva, va diritto per la sua strada, viaggia sulla rotta del proprio talento, nel suo spazio vitale come in un incantesimo ipnotico, fa della propria attitudine la sua missione, lo rende concentrato, fiero di se stesso, sordo ai fracassi delle apprensioni sociali .
L’ invidiato è ambizioso, si slancia sempre più in alto di se, cade mille volte, si rialza per duemila, si riprende, sgobba, soffre, fallisce, si ferisce, si sbuccia, si ricuce e si rimette su, vive di incubi, notti insonni, sa rinunciare, si logora, ma poi si espande, esplode e dilata i suoi territori. L’ Invidiato non chiede o pretende mai, non ci pensa e passa, all’altro, tutto è dovuto, ti crea l’ obbligo, è un politico che se ti da, gli devi.
L’ invidiato è un passionale, un razionale, un uomo che vive di umanità, lotta per la fede del bene umano, del suo progetto, per migliorare il mondo. L’invidioso, sventola la bandiera della propria arroganza, desidera il tuo decadimento, è uno strafottente, non lo sfiora mai un minimo senso di colpa.
L’ invidia è un corto circuito, la subisce chi la vive per l’ inquietudine che produce, l’ invidiato invece è più sereno, perché di queste ansie non ne ha.
L’ invidiato è felice di se e se gli altri riescono, è fiero, gioisce per i loro successi, gli fa festa, non li invidia mai, è generoso del suo tempo e delle proprie risorse, con loro non è mai competitivo o arrogante. Anche se non può, aiuta, gli racconta delle sue fatiche, di come si superano i dirupi, lo sostiene e gli offre tutte e due le mani, crede che nella altrui riuscita e lo sostiene, desidera il suo bene se procede a stento, soffre con lui, lo appoggia e gli offre le spalle.
giorgio burdi
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