No Soscial
Social
e la Società Schizoide
Pubblica, condividi, like, reaction.. aggiorna stato, storia. Non siamo più persone, siamo followers, un cambio di identità, da umani ad umanoidi. Siamo nell’era del messaggio in codice, contraddittorio, velato, molteplice.
Nell’era dei social. Piattaforme che ti permettono ti rimanere in contatto con amici, di creare nuove connessioni e allargare la cerchia di “follower”, solo attraverso un + segui.
Ma cosa c’è esattamente di sociale in questo? In un abbattimento delle interazioni reali a
favore di comunicazioni parziali, fittizie,dosate e mascherate.
Questa è l’era che la maschera ce la mette, ci impone di indossarla, in realtà ce ne regala
diverse a seconda delle situazioni e del tipo di interazione. Pensa che generosa e altruista.
Un’era che ci fa tornare al meccanismo primordiale, ci gratifica e punisce. Il bastone e la carota. Il social è stato pensato come una Skinner box, dove venivano studiati e
addomesticati i ratti, attraverso l’utilizzo di premi e punizioni, dove venivano condizionati a
fare o non fare qualcosa.
Così i like, le reaction, i commenti diventano premi… simbolo che ciò che fai è corretto e
giusto per la società. Il premio ci da gratificazione e ci innalza i livelli di dopamina, e ci spinge ad uniformarci a tutti gli altri per riceverne dosi sempre maggiori.
Per sentirci parte integrante di questa immensa rete che a dirla tutta non fa altro che
rinchiuderci sempre di più, rateizzare le emozioni, barattare l’individualità con l’effimero,
filtrare la persona.
È possibile cambiare se stessi, diventare chiunque, lo schermo crea una barriera che
anziché intimorirci ci da l’illusione di essere “altri”, di abbellirci, cambiarci, “migliorarci”,
snellirci, così da poter postare una foto secondo le caratteristiche canoniche richieste dalla
società social. Regole rigide dettate da un algoritmo.
Poi mettiamo in stand by il telefono, ci guardiamo allo specchio e non sappiamo chi siamo. Non sappiamo più comunicare, perché non c’è lo schermo a proteggere le nostre emozioni e il nostro vero io. Ci sentiamo nudi, sbagliati e inadatti. Senza tutti quei filtri e
“abbellimenti”.
Poi lo riaccendiamo, guardiamo le notifiche aumentare dopo la pubblicazione di una foto e
ci sentiamo meglio, ci sentiamo accettati. Anche se non siamo noi. La comunicazione ha dei teoremi fondamentali che ci permettono di comunicare un messaggio, un significato.
Per poter arrivare al destinatario è necessario che il contenuto sia coerente, e i contenuti
sono due, uno verbale attraverso il quale arrivano le parole ed i vocaboli scelti per la
comunicazione, ed uno non verbale, che arriva attraverso il tono della voce, le pause, i
silenzi, arriva attraverso la vicinanza con l’altro, attraverso lo sguardo, i gesti.
Al destinatario quindi arriva tutto questo per poter leggere chiaramente il contenuto.
È facile dunque comprendere come attraverso lo schermo la maggior parte del messaggio
si blocca e non arriva. Mandiamo un contenuto parziale, spoglio di emozioni e
empaticamente assente. Un messaggio che comunica solo una parte, una sintesi, una bozza.
Che lascia spazio a incomprensioni.
La comunicazione attraverso i social avviene in maniera indiretta, attraverso la
condivisione di una storia o uno stato, visibile a tutti. Dove chiunque o nessuno può
sentirsi interpellato. Anche la lettura degli stessi messaggi è diventata ambigua. Abbiamo imparato a sparire, a smaterializzarci… basta cambiare le impostazioni e togliere la visualizzazione, l’online,
l’accesso. Una modalità di interazione ansiosa, dosata, labile, fuggente. Schizoide.
Se è vero che tramite l’utilizzo dei social siamo tutti interconnessi e la possibilità di
comunicare è diventata più rapida e istantanea, è altrettanto vero che si è persa la capacità
di interagire, di farsi conoscere, di esserci.
Perduti in un labirinto di interazioni superficiali e distaccate, dove un emoticon ha
sostituito il calore di un sorriso e un ❤️ ha rubato il posto di un bacio.
Benedetta Racanelli
Tirocinante presso lo studio BURDI
Arrenditi e Rinuncia
Arrenditi e Rinuncia
.Ogni obiettivo rivolto verso la nostra realizzazione, propone uno slancio emozionale fuori dal comune. Quando vediamo il sole, ne restiamo abbagliati. La sola idea di poter raggiungere una tale meta, ci rimanda una esplosioni di entusiasmi e piaceri intensi, siamo convinti di aver finalmente trovato l’ Olimpo e di essere arrivati. Intravediamo l’ assoluto della nostra riuscita.
Una tale prospettiva, per sua natura pone interminabili e cieche difficoltà, si mostra irta di ostacoli frapposte tra se e la meta desiderata, costellata da impedimenti carichi di sofferenze, cadute e superamenti di errori, tutti da valutare anticipatamente. Ogni meta ambita parte con la consapevolezza che è difficile e l’ impossibile per noi, deve diventare possibile.
Ogni ambizione avverte solo l’ entusiasmo e la sua eccitazione, perché proclama la realizzazione della nostra felicità, ma poco dopo verrà accompagnata dalla consapevolezza che non sarà affatto facile raggiungerla perché propone ostacoli importanti che si confrontano con l’ impossibile.
La bellezza dell’ ambizione è che essa convive tra entusiasmo e paura di fallire, ma inizialmente l’ entusiasmo deve predominare, altrimenti che ambizione sarebbe ?
Le mete più ardue vengono percepite come mete eccellenti e più eccellenti sono, più faticose sono da raggiungere, tali da renderle improbabili. Ad esse si oppongono le due massime difficoltà, l’ ostilità del mondo che anela ai propri interessi, ed una struttura più personale fatta di principi, si propone così una topografia come un labirinto estenuante che ti riporta, per tante volte, al punto di partenza.
Il raggiungimento di qualsiasi meta pone su un ring per una lotta, contro un mondo circostante costantemente in opposizione e le nostre memorie interiori, al fine di comprendere il senso del bene per tutti e il malessere da evitare. La lotta sul ring è contro il mondo, il numero due, e contro il numero due di sé. Il nostro numero uno, il proprio se, resta sempre in disparità, si trova sempre da solo a lottare contro due numeri due, uno esterno e l’ altro interno. Il fallimento è dargliela per vinta e cedere ad essi.
Cedere e rinunciare a questa lotta è il fallimento più grande che possiamo garantirci fintanto che non riusciamo a scollarci di dosso, il nostro numero due, per lasciare lo spazio nella nostra anima, esclusivamente al nostro nome, al nostro numero uno. In tal caso la partita sul ring, sarebbe alla pari e saremmo più agevolati e propensi nel raggiungimento delle nostre ambizioni.
Non tutto ciò che piace, fa bene, e non tutto fa bene di tutto ciò che si sceglie. Facciamo sempre i conti con l’ errore quando si sceglie la perfezione che risiede nell’ investimento sugli altri. È anche vero che nessuno può restare per sempre solo, e varrebbe la pena concedersi all’ errore, ma l’ errore è utile se insegna nel ritrovare incessantemente la strada giusta.
Perché spesso i programmi della vita, non possono mai essere i tuoi programmi, quando credi che tutto puoi, rischi di essere onnipotente, ma la felicità è una coincidenza di programmi allineati e questo miracolo puoi farlo solo con te stesso. Ogni volta che ti allinei sulle speranze altrui, rischi un fuori pista, perché l’ uomo è infinito e va rispettato e volerlo allineare a se, produce malessere per tutti e violenza.
La rinuncia è spesso un bene, è desiderare di non voler allineare nessuno a se e riprendersi i propri passi, perché il benessere è sempre sulla propria scia, relativamente su quella altrui, diversamente è il caos, è l’ escalation del conflitto, della dittatura, della sottomissione e del proprio isolamento.
Il ribelle, sa rinunciare, e per sua onestà, impara a non tradire se stesso. Chi rinuncia, si ricentra sul proprio asse e ritrova il suo sistema di gravità, non si è mai visto un pianeta appoggiato ad un altro. Col tempo impara ad essere una canna che si flette ma non si spacca. Ciò lo rende solo, ma più acuto e profondo, melanconico e sereno, ma più forte, perché non più disposto a rinunciare a se, saggio amico di se stesso.
La rinuncia ha il potere di distendersi e rilassarsi, la rinuncia è resa, pone le condizioni per la pace, con la convinzione che tutto non può dipendere solo da noi. Quando rinunciamo, rinunciamo alle difficoltà altrui, che fanno da zavorra, e ci riprendiamo la nostra vita. Rinunciare, significa riconoscere agli altri i loro problemi, le loro sofferenze e gli impedimenti, i loro fallimenti, e a se, i propri, e che tutto ciò, non potrà, smisuratamente, diventare per sempre nostro. Rinunciare, è evitare tutti quei tentativi di giustificazione altrui, che hanno il solo scopo di manipolazione commovente, per trattenerci incastrati a loro.
La rinuncia, pur essendo un fallimento, risulta essere comunque una vittoria, perché è la sola condizione che permette di poter cambiare direzione, tanto da non rimanere incastrati nell’ angolo, tale da continuare la ricerca verso la propria aspirazione. Quanti sono fermi all’ interno dei propri compromessi, perché sfiniti dalle ferite del cercare ? Alle volte, rinunciare, è anche rinunciare alle proprie difese, scegliere il meno perfetto, che un perfezionismo impossibile, o subire, o scegliete di rimanere perennemente soli.
giorgio burdi
ContinuaIl Vuoto
Il Vuoto
.Ogni autore, prima di ogni sua opera, brancola nel buio, è in attesa, alle volte è estenuato, altre volte molla, in altre ancora spacca la tela, il suo estro si srotola dal nulla, per diventare caos, crisi esistenziale e poi alla fine di un lungo e faticoso travaglio, genera l’ opera; ma tutto si origina sempre dal nulla. Prima che si edifichi un’opera, noi abitiamo, proveniamo, partiamo e facciamo sempre i conti e attraversiamo la “ non esistenza”, con il vuoto. Ma se il vuoto partorisce certe opere e meraviglie, sarà davvero un vuoto ?
Il vuoto è l’ incontro con la dimensione del nulla, il punto zero, quello fermo, la stasi della noia, è quel fotogramma di uno sguardo che ruota, che si è perduto, che ti lascia smarrito in una strada deserta, ma affollata, tra i palazzi di una grande città, con la gente che ti scorre accanto e sei indifferente, stupito per l’ incolmabile distanza che c’è con loro, imbarazzati, per tanta indifferenza e per tanta vergogna per noi e per gli altri.
Il vuoto è uno sfratto di Te dal mondo, da casa tua, non ti permette di percepirti, non vedi collocazione e ne tempo, solo sagome inanimate; il vuoto è una tela bianca in una cornice classica, dorata, è un ladro che ti ruba le sensazioni, l’ ascolto e l’ interagire, si piazza come un irriverente e non se ne va.
Il vuoto, è anche come un viale di pini profumati, che attraversi da solo e ti pervade del suo profumo, ti fa spavento, ma ti calma con la sua bellezza, ti rilassa come il deserto, e ti fa sentire smarrito, ti riempie di ossigeno e ti fa toccare l’ aria.
Il vuoto è una baita isolata su una valle, il luogo dove tutto tace, è il perimetro che delinea il rumore dalla quiete, è il vuoto di coloro che per quanto siano importanti, ci sono e non si vedono, sono come la scia di un meteorite. Il vuoto c’è, quando parlano parlano gli assenti, quando derealizzi e ti dissoci, ti esilii nell’ nella tua bolla d’aria.
Alle volte evadiamo dal vuoto, ci riempiamo di suoni, luci intermittenti, accelerazioni no limits, percussioni, perché il vuoto è, l’ assenza di punti di contatto, sensory deprivation, come l’ assenza di gravità di un astronauta galleggiante. Nel vuoto, basta solo una stella di luce nel buio, per distrarre l’ attenzione da esso, noi cerchiamo la luce, il suono, il tatto, il calore, sono la catena che ci aggancia alla vita.
Ogni scritto parte da un vuoto, prima non esiste, così ogni quadro o l’ estro nasce dal niente, come le note su un pentagramma, piovono dal cielo, così come una scoperta, una invenzione, hanno tutto in comune, prima di essere ammirate, non c’erano;
La vita ci partorisce dal nulla, abbiamo necessità di rivedere questa concezione che abbiamo del nulla.
La nostra vita parte dall’ agire di due cellule, originariamente separate, l’ una lontana dall’ altra, esse però rappresentano il noi potenziale, ma senza la loro combinazione non ci saremmo. Le cellule prese isolatamente, on sono il nulla, ma non sono neanche il noi; ma sono potenziali, sono vita. Essa in natura esiste a prescindere dal noi.
È l’ incontro tra le due cellule che ci concede il dono della consapevolezza che tutti noi siamo sempre esistiti ed eterni, e tutto ciò determina solo la morte definitiva del concetto del nulla.
Ciò che ci permette la vita è “ il contatto “, per amore o non; e la vita dell universo non può essere opera, se non opera di Colui che permette il “ contatto “ tra i diversi elementi, come un artista dinanzi alla sua tela bianca che combina i colori.
Se esistiamo, da quale nulla proveniamo, ? non dovremmo esserci ! Il nulla per eccellenza, così tanto odiato, è la morte. Ma la conosciamo per definirla ? non avendo di essa alcuno strumento di conoscenza, ne di misura, non essendo scientificamente osservabile, è corrette dire che rappresenta il nulla assoluto ?
Nel momento in cui siamo nati dal nulla, ma di fatto esistiamo, il nulla non esiste; allo stesso modo, potremmo dire della morte , che essa non esiste, pertanto, inequivocabilmente, la morte non c’è. Non sono questi giri filosofici, parole, nemmeno speculazioni intellettuali, ma la logica è questa.
La morte come il nulla, è una nostra congettura, molto sbrigativa, chi sa davvero cosa essa sia, chi l’ha mai conosciuta ? Nessuno può di essa dare una accezione e definirla, ha quella dimensione non descrivibile e non controllabile, esattamente come il vuoto. Il vuoto è condizione indispensabile per la vita, è il pieno che crea non pochi problemi.
Se dal vuoto nasce questo scritto, la nostra vita, le nostre scienze, le nostre opere d’arte, la morte necessariamente sarà una condizione simile, del nulla e della vita, siamo noi che gli diamo una dimensione ed uno spessore che non può avere, e per giunta una accezione negativa, perché essa non la conosciamo, così come ci fa spavento e non conosciamo i tanti vuoti che viviamo. Il vero spessore non è la morte o la vita, è che il vuoto, non esiste. È il vuoto è come l’ amore che non si vede ma c’è .
giorgio burdi
Continua
Sento
Sento
Sentire è lasciar parlare la totalità di se, aldilà di ogni linguaggio e di ogni grammatica differente, è la grammatica dell’ anima, è esprimere un universo dentro di noi, denso di significati, è un eloquio veloce piu della luce, ci collega a noi, oltre ogni nostro orrizzonte e distanza, è come parlare in una stanza, anche se fossimo su pianeti diversi. Il sentire è la quarta dimensione, è ciò che trascende la pelle e va oltre ogni confine ed ogni dimensione è l’ aura intorno a noi, l’ espansione della nostra luce, è il proiettore dell’ anima, è vedere nel buio agli infrarossi.
Chi sente, anticipa, è un miglio avanti, è smart, veloce, sensitivo, veggente, “legge le carte”, ha un talento innato, tanto più se ha sofferto, chi ha toccato il fondo e si è risolto. Chi soffre va giù, come una trivella che trita e spacca i sassi, ma trova le risorse, i propri giacimenti.
Sente, solo chi ha brancolato nel buio e si è ingegnato per costruire torce dal nulla, chi ha camminato scalzo sui ciottoli, si è spianato la strada da solo, chi ha usato l’ aratro e il piccone, chi si è arrampicato a piedi scalzi sulle rocce o ha camminato sui pezzi di vetro, in frantumi, dei propri palazzi di sabbia.
Chi sente vede, anticipa, è attento, sensibile, arriva, riesce, ce la fa, cade e non si arrende, non perde ciò che gli altri non vedono, non si perde d’ animo, non rimane spalmato sull’ asfalto, perché nel suo sentire, percepisce la sua voce flebile che dapprima bisbiglia, poi suggerisce, parla e poi urla; e tanto più urla, quanto più viene mesa a tacere, e per nulla al mondo rinuncia a farsi tarpare le ali e a farsi più tappare la bocca.
Chi sente, trafigge e oltrepassa la notte, dalle sensazioni partorisce intuizioni, si fanno ruscello, che si srotola per chilometri a valle, parte dalla fonte delle più alte vette, dalle profondità delle rocce che levigano i ciottoli e travolge tutto fino alla pianura di un lago.
L’ intuizione del sentire, si fa movimento, scroscio, si fa salto nel vuoto, cascata nei dirupi che travolge i tronchi, delinea una scia e poi mette tutto al margine, l’ acqua pura prende il suo posto d’ onore centrale, secondo un ordine naturale, trova la dignità e la coerenza di se.
Chi sente è libero, e la libertà di sentire rende fieri, se agisce, sente solo chi è libero da fronzoli, da paranoie, da interpretazioni, dal giudizio, dalla mania del controllo, dagli stereotipi e dai pregiudizi, da ogni forma di indottrinamento moralistico o politico, sente chi non è diffidente, perché la diffidenza distorce tutto ciò che è nuovo, che diventa immancabilmente vecchio, chi sente è un open mind, sente chi impara a far tacere il mondo, che fa attenzione a non lasciarsi da esso annegare.
Chi sente, è inesauribile, attinge dalle proprie acque, dalle proprie risorse, resta integro, fedele a se, a ciò che realizza, è incorruttibile, intatto, cambia, ma resta tutto di un pezzo, diviene, rimanendo se stesso, tale e quale a se, compatto, un tutt’uno, un isotopo, un atomo, una batteria nucleare che non si esaurisce mai, è un sole tellurico, un focolaio che non si spegne.
Ma dove sono e si attingono tutte queste risorse, talmente misteriose ? Nel mistero del proprio vuoto, nella propria follia, intesa come il totalmente diverso dagli altri, nell’ indicibile, in ciò che gli altri non possono capire, nel non scontato, nel non ovvio, nei propri simboli, nello sragionare differente dal mondo, nel ragionare con la propria testa, nel proprio istinto, nel mondo onirico che è il confine oltre l’ altro cosmo di noi.
Chi sente, intuisce, prima bisbiglia con voce labile, ascolta, poi parla, sceglie, soffre, urla, agisce e cambia.
Le ossessioni non conciliano col sentire, perché l’ ossesso, non lo sa, ha in testa le voci degli altri, che lo confondono e lo rendono disordinato e ritardatario; è ritardatario, colui che perde tempo nel trovare la sua voce nella sua folla mentale; la strada è sentire ed ascoltare se, ma questo diviene possibile, se degli altri si spegne il volume; bisogna sbagliare tante di quelle volte per approdare al sentire, perché i pensieri fissi rappresentano il traffico dei rancori e rammarichi nella nostra mente, che va sgombrata per ascoltare se; si deve errare tante di quelle volte e soffrire, prendere molti pali ,cadute o fuori strada, per imparare a scrollarsi di dosso il mondo e sentire davvero se.
Il valore è nel dolore e non va trascurato, chi ha il dolore sente solo la voglia di morire, ma è proprio lì che inizia la vita, il parto, il dolore non va schivato, anche se ti costringe ad andare sempre e più giù, a scendere, a cadere e a farti male, l’ audacia e la tenacia, fa rinascere, scrosta e purifica, il ruscello che spacca la roccia dopo tanta caduta e fatica. È solo il dolore che ti fa riconoscere l’ effimero, il superficiale, il manipolatore in fuga che ti usa in preda alle sue evasioni.
Sente, solo chi ha un ascolto attivo, i rumori diventano silenzi, il mondo trasparente, scompare la routine, anche le noie riprendono il loro fascino insieme ai fracassi e alle distrazioni. Chi sente, è uno sceneggiatore, ha da raccontare e da dire, ha il teatro e la festa in testa se apre la combinazione del tuo libro, sa leggersi, ascoltarsi e agire. Domandati cosa sento e pertanto è ciò che vuoi e ciò che più desideri, ed agisci.
Due che sentono, diventano complici, si leggono dentro, fra le righe, hanno uno stesso pentagramma a quattro mani, adoperano in contemporanea le stesse identiche note e parole, sono il filo l’uno dell’altro, non perdono il baricentro, il bandolo, anche se si mescolano nel profondo del fondale, sono in grado di immergersi fino in fondo e di ri emergere velocemente per respirare.
Due che sentono, restano eterni, non muoiono, non si stancano e staccano mai, parlano sempre, non tacciono mai, si stupiscono per i piccoli gesti e per le semplici cose, si accolgono uniti.
Ognuno, nel suo sentire trova la propria strada, è un diamante di luce, tutto da vedere ed ascoltare; per apprezzarne il suo splendore si deve disincrostarlo dalle opacità delle paure quotidiane e dalle ombre altrui, perché se ti scrosti, scopri quanto sei nuovo e sei vivo da sempre, luminoso, ma ogni cosa nuova, anche se se si tratta di noi, fa spavento, perché anche il cambiamento di appartenersi può far spavento, rispetto all’ appartenere a qualcos’altro.
giorgio burdi
ContinuaRinascere
rinunciare alle fragili abitudini
Per l’ infinito che resta
Rinascere
Il tuo percorso
in una scia di erba,
Poi un tratturo,
una strada sterrata,
hai messo la ghiaia, con fatica battuta,
verso la tua autostrada
Vuoi andare lontano,
Ma non c’è orizzonte per Te,
così troppo irraggiungibile
Fai tutto da solo,
ti rimbocchi le maniche
dai tuoi geni alla tua strada
si parte sempre dal buio
divorato lentamente dalla luce
Sui Ciottoli che ti rompono i piedi
che con pazienza diventano asfalto
dal sudore, al piccone
Scolpisci le pietre.
Monta muri a secco
La tua idea si fa progetto
testata d’ angolo
Dai forma alla malta
Impasta pensieri, ghiaia, estro,
sudore ed argilla
Si erge la torre
Incastra laterizi, archi e capitelli
Sei Una labile idea
Che struttura un castello imperiale
quanta fatica
Dover rinunciare alle fragili abitudini
per l’ infinito che resta
Che diviene e trapassa l’ effimero
Ciò che è fatica, resta
Accogli il tuo dolore profondo
se vuoi tornare al respiro
Vivere alla giornata angustia,
come La buccia secca perisce,
La fatica, se ci credi è gaudio
rimane per una gioia infinita
Una scia di gioia finisce
Per un fuoco di paglia che esplode
A tutti coloro che edificano dentro,
Sarà roccia il palazzo che è fuori,
perché si evolve chi cambia
non disdegna fa fatica
Per chi Riconosce i limiti
ma non solo quelli degli altri,
commisera la povertà del proprio passato
e fa del proprio presente
la sua rivoluzione,
la leggerezza della propria rinascita
AUGURI
giorgio burdi
ContinuaSpacca
“ Spacca “
Inno all’ Uomo
Spacca gli argini
Le grate
Le prigioni
Gli steccati
I rotoli di ferro spinato
Tutto ciò che è
dogma
Perché il dogma è una tortura, una vergogna
Esso è ombra, è una trappola, una tana, è tetro
è l’ origine del male
del comando, della sottomissione.
è un diktat, Ci Rende automi
Incantati nel vuoto
Idioti decorticati
Soldati in fila
Spacca l’ ignoranza
La miseria, la meschinità
il predominio
Il pre-giudizio, gli stereotipi
Dettati solo da un altro tuo pari,
Tutti si fanno santoni, anziani
Profeti e patriarchi
Rappresentanti di atee religioni
Bada all’ essenza
ai tuoi fondamentali
Ai tuoi valori, non a quelli di chiunque
Spacca Tutto ciò che ti opprime il petto.
ti toglie l’ aria
Ti mette un cappio al collo
Che ti mette all’ angolo,
che ti fa indossare il velo
Che ti ricatti
Che ti punti il dito e ti accusi
Che popolarmente ti processi
Che si accasci sulle tue spalle
Perché la libertà è sacra
Un libero filo d’ erba
Spacca il cemento,
Spacca il gregge e
Il tuo essere pecora
Spacca Il bisogno
Di lasciarti guidare
di appartenere ad un leader,
Al tuo capo
Al suo potere e di obbedire,
Di maltrattarti, di usare il tuo tempo
di manipolarti
Di volerti spiegare la vita
Con la sua disumana arroganza
Di essere verità assoluta,
Balsamo per le tue
incertezze, creme per le tue insicurezze
Per i tuoi dolori e le tue ferite
Smettila di compiacerli
Spacca il tuo timore reverenziale
I tuoi sensi di colpa e le tue paure
Che ti fanno appartenere,
Ascoltati, risolviti
Promuoviti
Amati,
apprezzati
Svincolati
dalle mani dei guru
Ribellati
fa paura alla paura.
La libertà è una poesia, è sacra
E non la compri
non ha costi
Non ha legami.
di nessun genere
nemmeno dall’ amore.
e te la prendi tutta
senza alcun permesso
Stacca, se spacchi
L’ amore non ha catene
ne possessi
Non ha confini, ne obblighi
Ne moralismi
Questa Non è una proclamazione
dell’ individualismo,
Ma è un inno all’ Uomo
Alla sua intelligenza
Alla sua scienza
alla sua coscienza
Alla sua umanità
Al suo essere laico
Alla sua santità, al suo rispetto
i dogmi lo rendono stupido e severo
Controllato, non pensante, mandria, dittatore, autarchico, politico o religioso, non credente lo rendono bestia, essi sono la causa
primaria delle guerre,
Sei l’unica casa che c’è
L’ assoluta certezza, che esisti
Senza di te non c’è nulla
E non c’è piu alcuna sicurezza,
Se decidi di esistere
Vai in azione, in attaco
difendi la tua natura
Ti rendi sicuro
se Esci dall’ inerzia, dall’ ipocrisia
Dalla passività
Di essere un obbediente,
ritorni a casa
Se ritorni da Te,
Fa fuori i tuoi registi
Decidi tu il tuo film
Spacca tutto ciò che ti tiene al collare
ciò che ti recinta
Tutto ciò che non è nella tua logica
Nel tuo intelletto
Nella tua sentire
Nella tua pancia
Tu sei l’ immenso,
sei più dell infinito
Più del cielo, più e dell’ orizzonte,
Tu sei più del sole,
Perché tutto ciò.
senza di te.
non potresti mai apprezzarli
tutto ciò è casa tua
Sei casa, nella casa
Ed una casa non ha senso
Senza colui che la abiti
Sarebbe vuota, spoglia, monca e morta
Perché tu sei il loro governatore
Il centro di tutto il cosmo
Perché esso sarebbe un deserto
Disabitato, se tu non ci fossi
Perché tu sei l’ Uomo,
il centro di ogni spazio
Se c’è il tuo rispetto
C’è il rispetto per Dio
Di tutta la natura che ci circonda,
con il tuo rispetto
La vita sarebbe vita, un gioco, una vacanza
Il rispetto per il dogma,
È il rispetto per la sofferenza,
per la guerra, per la morte
E per la fine del mondo
giorgio burdi
ContinuaIl Potere dell’ Analisi
IL POTERE DELL’ANALISI
Mi hanno sempre affascinata gli scritti di Marco Aurelio, li ho sempre trovati molto attuali, ho fatto mie molte delle sue massime : “Scava dentro. Dentro è la fonte del bene, che sempre ha il potere di sgorgare, a condizione che tu sempre scavi.”
“Di ogni singola cosa chiediti cos’è in se, qual’è la sua natura”.
Sono in analisi da quasi 5 mesi e queste parole per me sempre molto affascinati ma che difficilmente trovavano attuazione nella mia vita adesso trovano un senso, nel modo di guardare me stessa, di guardare gli altri, di guardarli davvero!
L’analisi ha un potere superiore a qualsiasi altra conoscenza, per me è la conoscenza assoluta, poco importa il livello culturale, l’estrazione sociale, l’analisi ti consegna il potere assoluto della comprensione di tutte le dinamiche ; affettive, familiari, sociali, con la conseguenza che inizi a volare leggera e con equilibrio sopra tutto, sopra tutti.
Parlo con la gente ma il confronto con loro spesso non ha più lo stesso sapore, lo trovo misero, reputo spesso i miei interlocutori superficiali e giudicanti, non vedo loro di rincontrarmi con il mio gruppo analitico e con la nostra “ guida” il dott Burdi, attendo quell’incontro come fossi un amante trepidante che non vede l’ora di placare la propria sete di conoscenza. È questo l’effetto che fa l’analisi se si comprende appieno il suo potere!
Grazie al mio percorso sto dipanando matasse senza capo né coda, inizio ad allentare nodi che diversamente mi avrebbero stretta in una morsa angosciante , guarisco dolori atroci perché ne comprendo l’origine a la natura.
Attraverso l’analisi ho compreso cose che diversamente sarebbero aberranti anche solo sentirne parlare.
Sono solo all’inizio del mio percorso ma oggi sento che conquisterò lo scettro del potere!
Grazie dottor Burdi
Eleonora
ContinuaSe ci entri, ne esci
Se ci entri, ne esci
Se hai paura del buio di una galleria, hai tutta la tentazione di fermarti, fare retro marcia o di ritornare indietro, ma in autostrada non si può, non si deve, o puoi solo star fermo lì, bloccato, disperarti, rimaner vittima dell’ immobilismo, piantare le radici nella paura, o procedere in avanti, imboccare il tunnel piano piano, ammiccare più volte le palpebre, per adattarti al buio, e iniziare a camminare, cautamente, guadagnando strada, metro dopo metro, con l’ angoscia, col batticuore, se ti muovi, fai già tanto, la strada avanza per uno spiraglio di luce che si affranca in fondo al tunnel, intravedi la meta, l’ uscita non è più una speranza, ma si apre una certezza.
L’ esperienza del buio può essere terrificante, in esso perdi ogni punto di riferimento, ha come dimensione un solo colore, quello della paura, uno spazio nero, monocromatico, l’ aria si fa densa come un liquidò. Temiamo di affogare nella paura, di smarrirci, di sbattere, di farci male, di entrare in collisione con un mistero che ci travolga.
Il buio viene percepito spesso come un pericolo, come la paura per la fine, per la morte. Ma il buio è anche notte, sonno, riposo, sogno, non ci sarebbe rilassamento senza il vuoto ad occhi chiusi, senza la notte non apprezzeremmo il giorno, non apprezzeremmo le stelle e i pianeti. Attraverso la notte si esce dal giorno, si cede il passo alla passione, per lasciarci andare, per raccoglierci, per far silenzio ed ascoltare i suoni del buio.
Il buio fa spavento quando non stiamo bene, a letto, temiamo di incontrare incubi personificati, preoccupazioni dense di orrore, stratificazioni di rancori, allora temiamo la strada, ogni galleria ci rappresenta quell’ ansia per la vita con la morte che vorremmo non avere dentro.
Ogni percezione della realtà è lo specchio del nostro umore. Se abbiamo un attacco di panico, in una tangenziale imbottigliata dalle auto, l’ imbottigliamento è negli incroci dei nostri pensieri incidentati, tra i tamponamenti dei nostri conflitti relazionali, nei pianti e nelle piccole morti quotidiane, all’ interno delle ripetitive e continue minacce alla propria salute e alla serenità.
Nei pensieri intrusivi, temiamo di far del male, a ciò che a noi è più prezioso, a noi stessi o ai propri cari. essi non hanno alcun fondamento, un valore realistico, ma sono rappresentativi di tutti quei torti subiti e sedimentati e trattenuti in se e proiettati su ciò che è fondamentale. La loro zavorra trattenuta fa del male a noi stessi e al pensiero per propri cari. Tutto ciò che è trattenuto, fa del male al nostro pensiero e pertanto anche sul nostro pensiero per gli altri.
Da una storia straziante, te ne esci, se ci entri in tutti i suoi folli dettagli, attraverso il coraggio di guardarli e di scegliere; la scelta senza una convinzione emotiva è fallace e la convinzione emotiva può avvenire, qualora facciamo un pieno di noi stessi e delle nostre bellezze, abortendo ogni surrogato, che occupava il nostro posto. Dentro di noi può solo esserci spazio per chi è in grado di accoglierci naturalmente..
Nelle paranoie si sviluppano pensieri persecutori, temiamo il giudizio, diventiamo diffidenti, permalosi, spigolosi, controllori, ci guardiamo le spalle anche quando non c’è nessuno, conviviamo con le ombre addosso alle quali diamo una densa consistenza da temere un giudizio universale. Da essere essere stati perseguitati, diveniamo persecutori.
Negli abusi, non c’è mai un ricordo vivido, la mente ci difende, affonda i mostri, occulta tutto ciò che il corpo rivela, con ansie e fenomeni fisici disturbanti, con distanza dalla propria libido da poter trasformare la propria identità di genere o tutto ciò che entra nella persona, come il cibo, viene disgustato o rigettato o diventare strumento di distruzione del sé corporeo, modificandone i confini.
Come risolvere ? Nel problema devi entrarci, non puoi sempre far finta di nulla e considerare solo l’ abito e l’ estetica del sintomo; entrare significa aver coraggio, voler capire il perché si è in trappola, chiedersi non attraverso un solo perché ciò accada, ma attraverso tanti, e come mai accade esattamente a me, e non è mai un caso, ma esiste una causa perchè ció accada a me;
non soffermarti superficialmente sui soli fastidii, ma cerca le origini e le sue radici, con il coraggio di calarti nei tuoi meccanismi inammissibili, all’ interno delle tue grotte sotterranee, per tuffarti lì dentro dove non entreresti mai, nel tuo conflitto, nuotaci all’ interno, chiedi aiuto, un salvagente, apriti, parla, non tacere più, confrontati con amici o specialisti, coinvolgiti in discussioni di gruppo, per amplificare, fare ipotesi, tesi, cercare i diversi significati delle cause, fino a sradicare le sue radici ed agire finalmente il cambiamento.
Se non ci entri, non ne esci più. Bisogna dotarsi semplicemente solo di un po’ di coraggio.
giorgio burdi
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La psicoterapia: Dal necessario all’ impossibile
La psicoterapia: Dal necessario all’ impossibile
«Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile».
Beato Egidio.
Questa espressione dovrebbe essere la premessa di ogni percorso di psicoterapia. In studio, molto spesso, accede chi non conosce la fondamentale differenza tra psicologo e psicoterapeuta. Giusto qualche parola per i servi, ma su questo non mi dilungherò, è necessario chiarire che il primo è un laureato in psicologia, percorre un anno di tirocinio per poi sostenere l’ esame di stato per potersi iscrivere all’ albo degli psicologi.
Egli esercita una consulenza di sostegno, lavora sul sintomo, usa tecniche di alleggerimento degli stessi e produce una diagnosi. Lo psicoterapeuta, fa tutt’ altro, oltre ciò indicato, è un “agente di cambiamento”, è un ricercatore a tutti gli effetti delle cause della sua sofferenza psichica: dopo la laura in psicologia, frequenta una scuola specialistica, ad oggi quadriennale, tra un po’ diverrà quinquennale, il suo compito peculiare è intercettare, come fosse uno speleologo, le radici di certi malesseri.
Qualsiasi lavoro analitico, attraverso una psicoterapia, deve necessariamente produrre un cambiamento. La Psicoterapia fatta in assenza di un tale orientamento, è semplicemente un sostegno, una psicoterapia vacua ed inutile.
Una psicoterapia non usa mai solo tecniche di rilassamento, quali mind fullness, yoga, training autogeno, tecniche di de sensibilizzazione pari all’ mdr , all’ ipnosi ecc, tecniche adoperate dagli psicologi, in tale direzione, tra l’altro non si è mai riscontrato di osservare soggetti risolti, trattati solo attraverso tali impostazioni.
Uno psicoterapeuta fa tutt’altro, egli conduce un colloquio tortuoso, atto all’ individuazione delle cause, attraverso una indagine analitica; privarsi di questa peculiarità, il percorso perde di valore e di potenza, che di riduce al racconto delle attività della settimana, rappresenta una perdita di tempo, con un grave dispendio di risorse economiche.
Lo scopo della psicoterapia è quello di “ intercettare l’ evento ”, o i fatti sottostanti I problemi, ciò avviene esclusivamente attraverso quell’ assioma dell’ “indagine analitica” . Essa procede in avanti e a ritroso e viceversa, all’ interno della storia del soggetto, per l’individuazione delle cause del suo problema.
Un colloquio empatico, ispeziona e scandaglia i sotterranei delle sofferenze del soggetto, le “memorie del suo sottosuolo”, “ i sotterranei dell’ anima”, procede dalla profondità alla superficie, dal presente al passato e viceversa, funge come un Ping pong, in cui la persona si sente considerata ed accolta, presa in carico, seguita e compresa, tanto da poter restituire al soggetto, la lettura di quei meccanismi involontari che lo governano e lo lasciano affranto nelle sue pene.
Fare una psicoterapia per anni, solo per favorire l’ adattamento del soggetto al suo problema, rappresenta il fallimento più grande della stessa. Lavorare con tale modalità significa lavorare solo sul sintomo ed avvia la formazione verso una dipendenza dal professionista. La psicoterapia, contrariamente libera da qualsivoglia dipendenza, anche da quella dello psicoterapeuta .
Contrariamente, una psicoterapia adopera il sintomo, usa la sua lettura per giungere esclusivamente alle sue radici causali. Pertanto ripetiamo, che una psicoterapia che non cerchi ed indaghi esclusivamente le cause, non può definirsi tale. Successivamente, dovrà impegnarsi verso le probabili soluzioni necessarie, poi verso quelle possibili e necessariamente tener conto anche di quelle più complesse ed impossibili.
La psicoterapia secondo questa impostazione, rappresenta una vera e propria rivoluzione, che non può attuarsi, se non attraverso una sinergia, un accordo precedente ed in itinere concordato, tra paziente e specialista, lì dove si vuole arrivare.
Uno psicoterapeuta è uno “Che Guevara”, un professionista pacato, tranquillo, ma fortemente in azione, trasmette, se è possibile, che non c’è scampo per il problema, e nemmeno per gli auto sabotaggi che il paziente opporrà, e che la rivoluzione la si fa sempre insieme, qualsiasi essa sia, mai propone ed impone la propria rivoluzione, ma accoglie in assoluto il bisogno di cambiamento del soggetto e la sua assoluta direzione liberatoria.
Lo psicoterapeuta, non da consigli o la sua esperienza e qualora dovesse farlo, orienterebbe la rivoluzione del paziente verso la propria direzione auto realizzazione, da depistarlo, modificandogli il percorso di emancipazione. Le direzioni da intraprendere e le scelte, sono segrete e sacre e devono rimanere di pertinenza unicamente del soggetto, rappresentano la sua identità e non quelle del popolo e tanto meno dello specialista se in tal modo desidera farsi chiamare.
giorgio burdi
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