L’ Umiliazione della Dipendenza Affettiva
L’umiliazione della dipendenza affettiva
Amare è il valore esponenziale più elevato ed imponente che possiamo vivere e condividere, è il verbo onnipresente più sentito ed agito, reso a volte ridicolo e coniugato nel mondo. Esso ci pone in una modalità ed una forma di eccellenza relazionale, nulla avrebbe senso senza l’ amore umano.
Ma in ogni caso e per diverso genere, necessita del suo equilibrio. A pranzo non consumiamo due grammi o un chilo di pasta a testa o non sorseggiamo in un calice due gocce di nero del Salento o una damigiana ! Ogni cosa possiede il giusto valore se nella giusta misura e perde di qualità nella poca o eccessiva quantità.
L’ amore rappresenta una trappola se è fuori misura. l’ amore donato o corrisposto diviene una galera se è troppo poco o se è esasperato, diventa invasivo. Nella dipendenza affettiva siamo sempre cimentati a riempire dei vuoti, a ricolmare i nostri fallimenti, le nostre delusioni e i bisogni.
Accontentarsi delle briciole d’ affetto, elemosinarle o desiderare tutto dall’ altro, pone le fondamenta verso l’ incastro di una infinita richiesta. È necessario chiedersi se l’ amore per se stessi è superiore all’ amore che si chiede.
L’ amore innanzitutto per se è per quello che si è e per quello che si fa, anzi direi è fare, ciò che si è, rappresenta il calibro che delinea l’ equilibrio all’ interno di una relazione d’ amore, è risolvere innanzitutto i propri vuoti e le personali beghe, è bonificarsi.
Quando non si è mai soddisfatti, contenti, quando è presente una continua criticità, un rancore persistente, una lamentela ed una aggressività passiva, un conflitto reiterato, siamo di fronte alla miglior coltura della dipendenza affettiva.
All’ interno della dipendenza affettiva, ci si perde nell’ altro, la propria identità viene stracciata, ferita, l’ altro diviene il se, si acquisisce il nome e il cognome, si diventa ridicoli, un attore, la smorfia, la maschera, il soprannome altrui, ci si annienta, si diventa stupidi; L’ altro diventa il nostro bullo romantico, all’ altro viene attribuito il potere di farci respirare, di scioglierci l’ angoscia dal petto, di farci esistere. Quando l’ altro diventa la nostra felicità, di lì a poco diventerà il nostro inferno, la nostra ansia perenne. Nella dipendenza affettiva l’ altro rappresenta la vita ed io la morte, lui il tutto, io quasi il nulla, una nuvola, il fumo di un antico toscano, una panna montata, l’ aria fritta in un battito di cuore.
Ci si impasta con l’altro, si si porta l’ anima ad una ustione, ad uno stato di fusione, l’ amore non è uno shake, si rischia di sbattersi, scuotersi tanto da farsi vicendevolmente seriamente male, non serve a nulla questo tipo di frappé di unità confuse. Sono ridicole quelle affermazioni come, cerco “ la mia dolce metà “ , quando ognuno dovrebbe mirare alla propria unita, è una richiesta eccessiva ed una personale ingiustizia farsi completare dall’ altro; cerco “ l’ anima gemella “ , ma se siamo tutti diversi, vogliamo illuderci ? Possiamo essere empatici, sincroni, ma questo accade se ognuno sta bene di suo, le richieste pressanti rappresentano già la fine.
Dovremmo avere più attenzioni e più riguardi verso di noi, dovremmo chiedere mille volte perdono a noi stessi ed essere più seri nei nostri confronti, più compassionevoli, che accattare disperatamente amore.
È umiliante per se stessi e poco dignitoso. Nella dipendenza affettiva ergiamo l’ altro ad una onnipotenza che non possiede, lo viviamo come la terra promessa, il liberatore, il nostro salvatore. Bisogna chiederci da cosa vorremmo effettivamente essere salvati, certamente non da lui. Non si può dipendere dalle promesse altrui se a noi stessi non ne abbiamo fatta neanche mezza.
La promessa più grande che potremmo farci è legata dalla nostra personale progettualità. Senza una propria progettualità, in sintonia con le proprie passioni ed attitudini, siamo tutti in trappola, in pericolo, propensi ed inclini verso un incastro affettivo.
Se lavoro sul mio tutto, l’ altro diviene una parte, se pur importante diverrebbe un valore aggiunto, ma relativo. Ma se l’ altro diviene il proprio tutto, imbocchiamo un intricato tunnel buio.
Ogni storia è buona ed è una potente risorsa, se ognuno sta bene ed è detentore di equilibrio. Chi si accontenta o si logora per l’ ideale, che non esiste, chi persegue il perfezionismo e vuole tutto per se, parte molto svantaggiato, perché la vita è bella perchè è un dono gratuito sempre, per ciò che ci offre e se presi così per come noi siamo.
giorgio burdi
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