L’ EMANCIPATO
“L’uomo che riesce a fare a meno di tutto, non ha paura di niente”, questa è una citazione, menzionata in vernacolo napoletano e divenuta storica, attraverso la serie televisiva di Gomorra. Ora, Aldilà della serie, sulla quale non vogliamo soffermarci, tale citazione si impone come una espressione potentissima rispetto al tema della gestione della paura. Essa, in modo molto crudo e diretto, rappresenta un bellissimo messaggio di insegnamento su come superare e non essere soggiogato dalle fobie.
La capacità di rinunciare e di fare a meno di tutto o perlomeno del poco, smettendola di investire in aspettative verso gli altri, figli, genitori, amici, amori, affetti, oggetti materiali, rappresenta il fascino dell’ evoluzionismo del se, complicata e tortuosa, ma non impossibile da realizzare.
L’ ascesi religiosa propone un suo percorso di distacco, attraverso la meditazione e la preghiera, allo scopo di riportare il soggetto a ciò che nella vita è essenziale, da tutto ciò che è effimero ed apparentemente fondamentale, non importante, ricorda che tutto ha una data di scadenza, è passeggero, è vacuo, si consuma, che il senso di tutto è solo nel momento presente che va consumato con lentezza, piano piano e per bene, come un piatto prelibato, tanto che da fissare la memoria per una traccia indelebile ed eterna.
Tutto sommato a riguardo, ognuno di noi, della propria vita ricorda solo certi momenti salienti, quelli fondamentali, quelli dove era profondamente presente, tutto il resto viene archiviato come in una pattumiera, la nostra vita di trent’anni diventa quella della sintesi che fanno un anno. Una vita intera dedicata, solo per ricordare pochi istanti significativi e quanto, tanto tempo buttato, perduto per cose insignificanti.
La capacità di distacco viene generata prevalentemente attraverso la sofferenza. Lo stato depressivo o peggio quello psicotico, rappresentano forme involontarie di isolamento e di presa di distanza dal mondo, generate da un disagio. In questo caso il distacco diviene una conseguenza, viene generato per la paura di vivere, attraverso l’ isolamento in una chiusura , quasi autistica al mondo. Questo tipo di distacco da isolamento non è funzionale e al contrario diviene generatore di paura.
Il distacco consapevole, quello radicato con i piedi per terra, in cui si vive il mondo e nel mondo, al contrario è funzionale, è coraggioso, elimina la paura di vivere, permette di vivere col sorriso sulle labbra. Per non essere ingabbiati all’ interno della paura, abbiamo bisogno di essere un po’ “cuore”, contrarci per poi espanderci. Il fobico si chiude, si contrae il coraggioso si espande, si apre al nuovo, interagisce, prende, va verso, ma poi ritorna a se, ma sa farne anche a meno. Il coraggioso è un illuminato che si espande perché è passato prima attraverso la contrazione e la contrizione della sua notte.
Sa rinunciare solo chi ha la certezza di riconoscere se come una ricchezza; paradossalmente, avrà ancor meno paura, colui che è in grado di rinunciare anche a se. La libertà da tutto, rappresenta la massima nostra sicurezza. Saremmo abbastanza potenti, sicuri e ricchi, non per ciò che possediamo, ma per ciò a cui possiamo rinunciare.
Saper rinunciare è una potenzialità umana senza pari, necessita di una forza macroscopica per la sua attuazione, essa ci rende uomini emancipati; questo modo di esistere è molto più elevato in termini di qualità di vita, rende arguti, è complesso;
è complicato da realizzare rispetto al semplice avere, all’ attaccarci a persone o ad oggetti, in questo siamo tutti un po’ bravi, lo siamo molto meno, nel lasciar correre o lasciare la mano di qualcuno, ciò lo si può fare, solo percependo il pieno di se. Tutti i lavori analitici hanno questo scopo, lavorare e giungere alla percezione della pienezza di se, invece di continuare a riempire i vuoti esistenziali con surrogati insignificanti.
Un’ altra caratteristica peculiare è dettata da fatto che l’ emancipazione non può avvenire attraverso una continua tutela del soggetto; essa vincola alle condizioni altrui, agli altrui diktat, la tutela rappresenta la delega che si fa su di un altro, per evitare la comprensione dei propri limiti, sui quali poter lavorare; quando si sostiene lungamente un soggetto, si sostengono i suoi limiti, col rischio di inquadrarsi e di essere inquadrato come soggetto limitato.
Serve a ben poco e trova il tempo che trova, l’ assistenza, la spalla offerta sulla quale poter piangere, l’ appoggio dato lungamente o fare da stampella. Chi fa da stampella, poi diventa carrozzella e barella e poi sulla barella ci va di conseguenza, viene fagocitato e poi affranto, piano piano, dal dolore dell’ altro.
Chi tutela di continuo, teme di far soffrire, tratta l’ altro da incapace, da diversamente abile, sottrae al suo interlocutore l’ opportunità di fare il passo e il salto di qualità, di fare affidamento e tutela su di se, di potersi riconoscere capace ed intelligente.
Chi tutela, sminuisce la capacità di autonomia altrui e di difendere con orgoglio la propria dignità. a meno che non si tratti di minori.
giorgio burdi
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