L’ Opportunista
Deluso, se attendi gli altri
In questo articolo vorrei affrontare senza mezzi termini il tema dell’opportunismo.
Essendo molto giovane, fino a qualche anno fa neanche mi rendevo bene conto di quanto fosse diffuso e intrinseco nelle relazioni sociali che spesso portiamo avanti.
Ora, che di anni ne ho ventiquattro, qualche esperienza in più e un pizzico di innocenza in meno, posso dire di conoscerlo bene. Fin troppo forse.
Ritengo (magari mi sbaglio) che ci siano due “tipi” di opportunismo. Quello “sano”, che può aiutarci senza ledere gli altri e senza danneggiare nessuno, non esclusivo e non rivale, perché una volta attuato non va a diminuire le opportunità altrui e potenzialmente accettabile perché definibile come capacità di sfruttare quell’opportunità ghiotta senza vedercela passare davanti e stare lì, fermi a osservare come beoti quell’ennesimo treno che ci sfreccia davanti senza prenderlo al volo.
Poi c’è quello, più diffuso direi, che in modo a volte brutale e talvolta abilmente celato viviamo ogni giorno.
Ma quante ne vediamo di colleghi arrivisti, in università e sul lavoro, che “usano” il più bravo e lo, accogliendolo a braccia aperte in un gruppo di lavoro, solo perché a loro è utile, lasciando i meno bravi quindi (a loro avviso) meno “utili” in disparte.
Oppure, quanti “lecchini” e arrivisti che impostano la loro vita sull’utilizzo dell’altro (spesso il potente) per un proprio futuro tornaconto.
E se talvolta possiamo definire delle relazioni come “transazioni” ossia un “dare e avere”, quante di queste (amorose e non) intessiamo solo per soddisfare un nostro bisogno opportunistico e non certo disinteressato e spontaneo?
Ricordiamoci che nessuno fa niente per niente. Quante di queste ultime sono basate sul motto “ho bisogno di te”, come se il partner o l’amico/a fosse un medicinale salvavita, utile alla nostra sopravvivenza?
Si dovrebbe dire: “ho bisogno solo di me stesso, perché la mia vita può e deve essere bella e meravigliosa anche senza di te, tutto dipende dalla mia capacità di trovare un mio personale equilibrio, ma con te ho quella marcia in più”.
Quante volte si fa beneficenza solo per il bisogno di sentirci apposto con noi stessi, andando per l’ennesima volta ad utilizzare l’altro solo per ottenere un tornaconto basato su una fittizia pace con la nostra coscienza.
Quante volte invece vediamo senzatetto lasciati soli, emarginati dalla società, ognuno con la propria storia e spesso capaci, se si ha il coraggio di aprirci per ascoltarli, di arricchirci con importanti lezioni di vita e -al contrario- “potenti” mai soli? (E non parlo per sentito dire).
Si potrebbe andare avanti per giorni con altre storie riguardo questo tema, ma non voglio fare il pesantone. Però su una domanda mi ci vorrei soffermare. Abbiamo il coraggio di chiederci il perché?
Sono fermamente convinto che anche se non ce ne accorgiamo o semplicemente non lo vogliamo riconoscere, in tutti noi c’è quel pizzico di opportunismo. Che sia “sano” o che sia evidente e “malato”, sta a noi riconoscerlo, facendoci un’autoanalisi.
Quanto “usiamo” gli altri per i nostri scopi, pronti a passare sopra tutto e tutti pur di arrivare al nostro obiettivo?
Carlo Mastroianni
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