
L’ OPPORTUNISTA
L’ OPPORTUNISTA
Mi serve, lo uso, lo prendo, lo getto, come un domo pack, come una prestazione d’ opera, una agenzia di servizi, uno scarabocchio nel cassetto, un appunto stropicciato, un barattolo nel cestino, un fazzoletto soffiato, un tovagliolo sulle labbra, un profilattico, una scatola di sigari, un vuoto a perdere, un cellofan dei biscotti, l’ acqua degli spaghetti, un sacchetto della spesa, un pranzo in una dissenteria, il profumo di un soffritto, il fumo di un toscano, un falò fatto cenere, un botto di capodanno, un battito di ali verso il cielo.
Può un uomo essere così fugace, consumato come un grissino, sola sorgente di informazioni, di prestazioni, energia da bruciare,un mono uso, un usa e getta ?
L’ opportunista è un bulimico, ti fagocita, e poi ti sputa, è un ladro, fa furto del tuo tempo, delle competenze, ti usa, e non stai bene, scompare, dimentica, non fa memoria, è macchiavellico, il fine, è renderti utile, non fa riguardo , discrezione o riconoscenza, gli è tutto dovuto, ad onorem di una fittizia amicizia o familiarità.
L’ opportunista, non tollera il no, è un manipolatore, adulatore, un affettivo di circostanza, ti chiama fratello, è l’ amico su Facebook, è l’ oggetto di Tinder, è un invadente, spregiudicato nel giudizio estetico e di contenuto, autorizzato a fare domande, l’ antitesi della privacy, opinionista incompetente, è un conformista globalizzato, sa “come si vive”, da consigli non richiesti, è un invidioso, di chi l’invidia non conosce.
L’ opportunista ti gira le spalle, è chi se ne frega, è “ l’ acqua passata, non macina più” , è l’ uomo dal presente che è già memoria, così obblighi non ha; preferisce apparire scordevole, ha l’ alzheimer; “passato il santo, passata la festa”, “ Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto… chi ha dato, ha dato, ha dato… scurdámmoce ‘o ppassato, Simme … paisà! “ . Tutti luoghi comuni, cosi tanto presenti che impregnano la nostra cultura e la rendono insignificante.
L’ opportunista, è anche l’ uomo dei favori, non è un meritocratico, salta la fila, è frettoloso, ama, “una mano lava l’ altra”, “mi potrà essere di aiuto”, ti promette come un politico baratti prestazioni e cortesie.
È un business man, uomo d’ economia, spilorcio, uomo d’ affari, uno scambista, spende nulla, vende fumo e contratta a basso costo, è un commerciante che ti rifila un mattone.
L’ uomo è poco meno di una prestazione, trattato finché produce, lui è ciò che capitalizza è un consumabile. Le ansie da prestazione sono gli effetti di un riduzionismo dell’ uomo ad un materialismo spudorato, ad un prodotto deteriorabile, neanche riciclabile; per l’ opportunista l’ uomo non è più di un pranzo ridotto in fecaloma, un uomo trattato da stronzo.
L’ opportunista vede nelle opportunità delle vere e proprie sue prospettive di migliomento. Prendi tre e ne paghi due.
L’ opportunismo è diventato uno stile di vita naturale che lo collocherei tra i vizi capitali di nuova generazione.
L’ opportunista è il materialismo della dignità, l’ assenza e la non curanza dell’ intelligenza, è la rappresentazione dell’ uomo oggetto, che lo vede schiavo. La rivoluzione contro l’ opportunismo è la riqualificazione di un uomo non riducibile ad oggetto di consumo, rappresenta il recupero del rispetto di se e dell’uomo.
giorgio burdi
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L’ opportunista
L’ Opportunista
Deluso, se attendi gli altri
In questo articolo vorrei affrontare senza mezzi termini il tema dell’opportunismo.
Essendo molto giovane, fino a qualche anno fa neanche mi rendevo bene conto di quanto fosse diffuso e intrinseco nelle relazioni sociali che spesso portiamo avanti.
Ora, che di anni ne ho ventiquattro, qualche esperienza in più e un pizzico di innocenza in meno, posso dire di conoscerlo bene. Fin troppo forse.
Ritengo (magari mi sbaglio) che ci siano due “tipi” di opportunismo. Quello “sano”, che può aiutarci senza ledere gli altri e senza danneggiare nessuno, non esclusivo e non rivale, perché una volta attuato non va a diminuire le opportunità altrui e potenzialmente accettabile perché definibile come capacità di sfruttare quell’opportunità ghiotta senza vedercela passare davanti e stare lì, fermi a osservare come beoti quell’ennesimo treno che ci sfreccia davanti senza prenderlo al volo.
Poi c’è quello, più diffuso direi, che in modo a volte brutale e talvolta abilmente celato viviamo ogni giorno.
Ma quante ne vediamo di colleghi arrivisti, in università e sul lavoro, che “usano” il più bravo e lo, accogliendolo a braccia aperte in un gruppo di lavoro, solo perché a loro è utile, lasciando i meno bravi quindi (a loro avviso) meno “utili” in disparte.
Oppure, quanti “lecchini” e arrivisti che impostano la loro vita sull’utilizzo dell’altro (spesso il potente) per un proprio futuro tornaconto.
E se talvolta possiamo definire delle relazioni come “transazioni” ossia un “dare e avere”, quante di queste (amorose e non) intessiamo solo per soddisfare un nostro bisogno opportunistico e non certo disinteressato e spontaneo?
Ricordiamoci che nessuno fa niente per niente. Quante di queste ultime sono basate sul motto “ho bisogno di te”, come se il partner o l’amico/a fosse un medicinale salvavita, utile alla nostra sopravvivenza?
Si dovrebbe dire: “ho bisogno solo di me stesso, perché la mia vita può e deve essere bella e meravigliosa anche senza di te, tutto dipende dalla mia capacità di trovare un mio personale equilibrio, ma con te ho quella marcia in più”.
Quante volte si fa beneficenza solo per il bisogno di sentirci apposto con noi stessi, andando per l’ennesima volta ad utilizzare l’altro solo per ottenere un tornaconto basato su una fittizia pace con la nostra coscienza.
Quante volte invece vediamo senzatetto lasciati soli, emarginati dalla società, ognuno con la propria storia e spesso capaci, se si ha il coraggio di aprirci per ascoltarli, di arricchirci con importanti lezioni di vita e -al contrario- “potenti” mai soli? (E non parlo per sentito dire).
Si potrebbe andare avanti per giorni con altre storie riguardo questo tema, ma non voglio fare il pesantone. Però su una domanda mi ci vorrei soffermare. Abbiamo il coraggio di chiederci il perché?
Sono fermamente convinto che anche se non ce ne accorgiamo o semplicemente non lo vogliamo riconoscere, in tutti noi c’è quel pizzico di opportunismo. Che sia “sano” o che sia evidente e “malato”, sta a noi riconoscerlo, facendoci un’autoanalisi.
Quanto “usiamo” gli altri per i nostri scopi, pronti a passare sopra tutto e tutti pur di arrivare al nostro obiettivo?
Carlo Mastroianni
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