No Influencer
Siamo tutti in guerra, ma cosa mai sarà una mancanza di rispetto nei diversi gesti quotidiani? Se la guerra convive con tutti noi, ci stiamo abituando ad essere tutti soldati. Essa ci sta cambiando i connotati, la percezione di essere umano come un essere mostruoso, ci conduce a difenderci dal mondo, a diffidare di tutti, ci predispone a restare in difesa, propensi al facile attacco, suscettibili ed irascibili, la guerra ci obbliga ad armare la vita quotidiana.
Se nella cultura della guerra è lecito il saccheggio, nella quotidianità sarà d’obbligo il furto, la cleptomania, il rubare o il disporre della nostra vita. La percezione dell’uomo del 2000 è quella di un invadente, di un invasore di un barbaro saccheggiatore senza ritegno.
Stiamo riuscendo a non farci più caso, la guerra sta diventando la nostra consuetudine e la nostra massima “Influencer” col suo reiterato bollettino di guerra. Il concetto di “Influencer” è diventato del tutto naturale ed accettato, per certi movimenti è del tutto regolare influenzare, manipolare e convincere. Tutto passa sotto una cultura commerciale, del non pensare, subiamo attraverso i social mitragliate subliminali di bisogni continui che terminano in shopping compulsivi che ingombrano la nostra testa e riempiono le nostre case di tanti oggetti riempitivi di vuoti esistenziali. Stiamo diventando un gregge per il quale sembra plausibile anche creare facoltà universitarie in “Influencer”, tale da poter targettizzare eserciti su misura, eserciti di soldati decerebellati, obbedienti, al servizio di una qual si voglia idiozia.
Stiamo crescendo nell’ involuzione, dall’ Homo Sapiens all’ Homo Demens. La Gran maggioranza dei social viaggiano sempre più verso la globalizzazione, l’influenza, con eserciti di messi in riga, pecore di followers, di YouTuber, automi incantati nello scroller, formiamo avatar, robot dall’ IA, tutti in riga, eserciti di soldati, decorticati, privati della propria volontà; l’intelligente non farà mai cassa né massa, siamo all’interno di un regime, quello del gregge, del pastore e dei cani da guardia.
L’ “Influencer”, per sua definizione, ha la connaturalità del manipolatore, dell’ invasore indiscreto, che deve insinuarsi nella mente, del persuasore subliminale occulto, del profanatore ed invasore delle coscienze, quello delle fakes, degli invadenti, che ti mettono in fila tra milioni di followers. Si Identica esattamente agli autocratici delle guerre, degli invasori.Ogni epoca ci ripropone sistematicamente, con una tradizione quasi secolare, il sociopatico di turno, un nuovo pastore del male, clonato, per condurre le ennesime flotte di “animali” al macello. In questa condizione cosa mai sarà lanciare immondizia dal finestrino, spaccare bottiglie per strada, correre come un coyote, affittare una Lamborghini e filmare la morte in diretta, per postare come YouTuber: cosa mai sarà farsi in ogni dove o un pusher che vende spazzatura per far soldi facili come un “Influencer”, tutti ispirati a Paperon de Paperoni, mercenari che in forme e nomi diversi entrano in casa per saccheggiare i nostri principi, se sommato, siamo in guerra !
Il male più esasperante che viviamo, è quello di subire le volontà di alcuni dei singoli narcisisti benigni o maligni che siano, senza avere l’opportunità di difenderci e ribellarci. Chi non si ribella è già stato fagocitato dal gregge. Siamo all’interno di una vera sabbia module di dittatura. Chi influenza le masse è irrispettoso è un sociopatico in frack di diverso livello, costruiscono i loro modellini e si infiltrano come dei gas nervini nelle nostre vite . Esistono sociopatici fintanto che sarà facile costituire dei greggi. Siamo bisognosi di punti di riferimento, di leadership e di governi e ci ribelliamo così tanto poco che alla fine meritiamo il loro comando. L’uomo per sua natura cerca sempre un suo comandante al quale genuflettersi per ottenere i suoi benefit, tutto ciò accadrà di continuo fino a quando non si risveglierà la coscienza e la consapevolezza di ciò che ci accade.
L’uomo consapevole per sua natura è un ribelle. Ragiona con la propria intelligenza, ed agisce col proprio sentire a vantaggio di sé e degli altri, impara ad essere punto di riferimento per sé stesso innanzitutto. Non accetta alcuna forma di manipolazione, schiva e resta indignato per tutto ciò che è futile ed imposto in modo subdolo, non ammette prevaricazioni, non si lascia mettere in fila dagli “Influencer”, combatte le autarchie e le supremazie, ogni forma di imposizione greve o diplomatica, contesta ed urla la propria libertà a tutti quei carini manipolatori seduttivi.
Come se non bastasse, stiamo diventando fieri, da farne anche delle università per creare “Influencer”, per insaccare masse di intelligenze, per poi creare dei filoni di salami. Università per decorticare le nostre unicità, massificare per dirigere. Tutto ciò che è assurdo, sta passando per regolare.
Ci stiamo sempre più orientando verso la ricerca del massimo potere, del come aver sempre più successo, arrivare in prima pagina e possedere sempre più denaro in brevissimo tempo, secondo l’ accezione del tutto e subito, dove il sacrificio è spazzatura come poter toccare milioni di anime e asservirle a vantaggio del proprio utile. Ma non era proibita la schiavitù ? Siamo servi di un potere non tanto più occulto, ma lo siamo ancor di per il sol fatto che non ci facciamo più caso. La perdita del senso è la più grande miseria umana, infangata dall’ indifferenza, la vita privata, non possiede più una porta blindata che tenga fuori lo sciacallo.
Faccio un pieno di alcool, un chilo di erba o di sesso, scarico tinder, the casual lounger , scopa–amici, cupid o senzapudore, faccio uno spaccio, divento bulimico di incontri mordi e fuggi, take away, multi gusto, le prendo, vellutate, chiare, nere, bionde o rosse con lentiggini, la vita è un ipermercato, mi affitto un amico, lo metto nel carrello, ne metto più di uno, così poi faccio la prima scelta, anche se poi scelgo sempre quello più malato, e ne esco sempre massacrato; ma con il mondo con la guerra in testa, si potrà mai trovar pace, se la pace non la trovi dentro in te?
Allora me ne vado su in montagna, divento un tibetano, rimedio un breviario ed una coroncina, resto tra le nuvole, sul granito delle scalate; l’uomo è l’ inferno, preferisco isolarmi. Mi sono rotto le palle, ho voglia di silenzio, mi faccio di erba e medito, così mi fumo i pensieri, forse è meglio un acido, cosi mi brucio l’ angoscia o tanto meglio mi cracco l’ ansia o mi faccio un buco di pace. Mi faccio un pieno di roba, quanto più sento in me un vuoto grande quanto un cratere.
Relazioni take–away, cotte e mangiate consumate come tranci di pizza, pago, prendo e mordo, birra e scappo, il vetro sul marciapiede e giù un’ altra; ci trattiamo come dei consumabili, uso e getto, non è un colmo rimanere sempre insoddisfatti, è la cultura del sempre è colpa degli altri. Se togliamo la maschera, scopriamo che siamo tutti uguali e il potere a non ci da la vita, ma la vita è il potere più grande, è tutto ciò che può darci il senso.
Samo al limite della tolleranza. Le guerre convivono con la nostra quotidianità e convincono che la vita sia quella, esse stanno diventando la normalità e ci rendono indifferenti; tutto lo scempio in diretta sta diventando ammissibile. Nella cultura dell’ “Influencer”, la guerra ha l’influenza nel suo massimo delirio verso l’ irrispettosità più patologica. La nostra, la possiamo definire, l’epoca dei barbari, dell’ insubordinazione, dell’ assenza è del caos dei ruoli, del me ne fotto, del nichilismo e dell’ anarchia, della disumanizzazione, dell’ insensibilità globalizzata, è la sotto cultura della perdita del senso, dell’ io trasparente.
La disumanizzazione diventa la logica, acquisisce un suo “ordine” ed un suo progetto caotico, una sua disorganizzazione nel suo sistema, aggiungiamoci a tutto questo l’intelligenza artificiale, la robotica autonoma. Tutta la sensibilità umana viene relativizzata e pertanto un figlio depresso in casa, chi mai sarà ? Siamo chiusi in un isolamento dove non c’è parola che tenga, il silenzio la fa da maggiore dove esso coniuga le assenze.
È necessario il recupero del senso di sé e delle relazioni, della parola, della condivisione umana dei sentimenti, tipica dell’essere uomini, della cooperazione, delle collaborazioni, è necessario recuperare ciò che ci contraddistingue, l’affetto e la presenza, tutto ciò che possiamo apprendere dalla nostra natura e dal mondo degli animali, nostri esempi di vita, perché l’uomo, così, non è più un esempio né per noi, né per gli animali.
giorgio burdi
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