LA TROTTOLA
Ogni cosa ha il suo posto e ognuno è di se stesso, è proprio, ma se perde il suo asse, la propria centratura, va fuori dalla sua perpendicolare, fuori strada, è la crisi, subisce la lussazione di se, la decentratura del menisco che lo rende claudicante; ogni cosa per reggersi deve essere sul suo baricentro, è un assioma, non sei tu a deciderlo, lo decide la legge della forza della gravità.
Una ruota che perde l’ asse genera una sbandata, un fuori strada, uno slittamento se la strada è viscida, uno schianto, un pistone che non fluisce, blocca il motore, l’ ingranaggio fuori centro del bilanciere di un orologio, sballa il tempo. Una corda molla, stona, una sbavatura, sporca, una foratura ti obbliga alla fermata, una macchia su una camicia, rovina la festa, un treno oltre i binati, deraglia. Per funzionare, tutto ha un centro ed una propria collocazione.
È indispensabile curare, rettificare il verso, fare un’ auto centratura, una equilibratura, la convergenza del se, piuttosto che rimediare delle stampelle, una barella, una carrozzella, una ditta appoggio o cercare ripetutamente una spalla sulla quale gravare e continuamente piangere.
Ognuno che reitera lamentele, si ostina abitualmente a gratificare il suo bisogno di attenzioni, ricerca continuamente consigli e consensi, si incolla e si accolla, salta in groppa come su un dromedario, si appiccica come una zecca, un simbiotico, crea una una fusione, una confusione, faticosa da slacciare, fatta di un legame solo di aiuto, di supporto e di dipendenza. È molto pericoloso chiedere e dare aiuto se esso non guarda oltre, verso l’ autonomia. È molto pericoloso perché , se l’aiuto non è competente, blocca la crescita, genera il controllo e involuzione, oltre che produrre dipendenza, ad un problema se ne accolla un altro.
C’ è a chi non basta mai, a chi ti cerca sempre, a chi ne vuole ancora e vorrebbe tutto, un coatto, che ti toglie a pezzi, ti frantuma, è chi ti stende a terra, una iniziale benevolenza, si fa presunzione ti mette a tappeto, si fa zerbino, sacrificio, nel tentativo di renderti, proprio, assimilato, assorbito, fagocitato, digerito, defecato, reso meno dell’ inutile e poi espulso e buttato. Certi vittimisti generano vittime, depersonalizzano. Attenzione a chi si lamenta troppo, a chi si decide di ascoltare, prima di lasciarsi coinvolgere in un problema altrui.
Chi tutto vuole, nulla stringe, chi chiede di piu, richiede sempre di più, distruggerà quel sentimento di passione, di amore, di umana solidarietà e convivenza, verrà meno il rispetto, prima o poi esplode, si va in fuga, più compresi, estranei allo specchio, perché lì, vedrà sempre l’ altro.
È molto bello, affascinante osservare una trottola, gira solo se è sola su se stessa. Non ha alcun altro riferimento se non il solo punto del suo ago sul quale regge. Regge sul nulla, un semplice ago, non si lamenta, non è tanto, ma non è poco, ma è l’unica risorsa che ha, un solo punto, nemmeno un punto e virgola, fa solo riferimento ad esso. Anzi, un solo punto è abbastanza, è la perfezione, perché se ce ne fossero anche solo due di punti, ci sarebbe la sbandata, lo squilibrio.
Se rammenti e ritorni sul tuo punto di rotazione, allora diventi stabile, ma per lo sguardo altrui, un egoista, un cattivo, perché riprendi a roteare, un intollerante, un ipocrita, un incoerente, un inaffidabile disobbediente, che non ascolta piu gli ordini e la coscienza degli altri o le direttive e i loro comandi, che vai a briglie sciolte, un bugiardo allo sbaraglio, da temere, che ormai può mordere senza collare né museruola.
Una trottola non ha alcun ritegno o scontate direzioni, si diverte, salta e ruota sfiammante, tra sfumature di colori, pazza gira, diserta le traiettorie e le prospettive, danza in inaspettate geometrie e direzioni. La morte non è solo quella che tutti sappiamo, ma è permettere di lasciar di noi, tutto nelle mani di qualcuno.
Perchè diviene così inevitabile e a volte necessario e proficuo, diventare l’ ombra di qualcuno, perdersi dentro un chiunque, inseguendo le sue orme, le sue nebbie, pendendo dalle sue labbra ? Non ci rendiamo conto di diventare il tappeti, succubi, sottomessi, come fossimo delle bambole. Come mai ci imbattiamo e commettiamo grossi e soliti errori di valutazione e come delle marionette ci lasciamo manovrare da fili cosi impercettibili ?
Sono le assenze subite che ci fanno cercare presenze qualsiasi. Questa è la trappola. Ognuno, nutrito da assenze subite, si nutrirà di ulteriori assenze presenti. Quando parliamo di presenza, non dobbiamo confonderla coll’ aver ricevuto vitto e alloggio e sostentamenti vari. Tutte le persone che entrano in analisi con un disagio, affermano che a loro, alle volte, non manca nulla. Ciò che determina l’ assenza è la mancata comunicazione e il dialogo che si prende cura di se, nella massima domanda del “ come stai ? “ ed innanzitutto gli abbracci rassicuranti di una presenza fisica reale a dispetto dell’ anafettività. Si può avere tutto, ma senza gli abbracci, la presenza diviene un fantasma, quell’ affetto platonico che si fa retorica, assenza.
Il vero problema siamo solo noi, è quello che cerchiamo assenti, ci incastriamo ed inganniamo in apparenti presenze. Ma la responsabilità non è dell’ assente trovato, ma delle nostre assenze passate sofferte. Esse ci hanno formato nel cercare e selezionare, in modo quasi certosino e con un tocco da quasi professionisti, solo e solamente assenze.
Anche se scegliamo di rimanere da soli, perché quella, secondo noi , è la scelta più conveniente, essa è la condizione ancora più chiara che lascia esattamente intendere delle assenze subite. Non posso star bene con, se sono stata formata all’ assenza, pertanto starò bene sola, o si fa per dire.
Per contro, la persona sola o chi soffre di solitudine, a sua volta ha sofferto la solitudine per le assenze forzate e di conseguenza chi ricercherà se non presenze assenti, perché ha imparato a cercare solo ciò che ha ricevuto, il nulla.
Chi è formato all’ assenza non è propriamente stato formato al nulla, ma viene formato al problema, al problema di avere o di evitare per forza qualcuno nella propria vita.
Se ne giunge a capo, solo se ognuno si chiede di quali assenze originarie ha patito ? La bonifica va fatta a monte e non a valle. Non è colpa del destino o dell’ attuale condizione, questa la si può sempre cambiare, ma della matrice originaria, che genera “serigrafie” all’ infinito.
Non sarà mai troppo tardi per recuperare il tempo vissuto male e con inganno e pertanto non sarà mai troppo tardi per recuperare oggi quelle energie per tornare a se stessi, sulla scia di quella libera trottola che schizza, gira e danza, che si accontenta di un solo punto e per quanto poco possa essere, è il suo indispensabile, è il suo tutto, e se volesse di più, sbanderebbe. Il problema di ognuno, è quello di perdere il proprio punto e di temere di non poterlo più ritrovare, ostinandosi a cercarlo negli altri.
giorgio burdi
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