Social
e la Società Schizoide
Pubblica, condividi, like, reaction.. aggiorna stato, storia. Non siamo più persone, siamo followers, un cambio di identità, da umani ad umanoidi. Siamo nell’era del messaggio in codice, contraddittorio, velato, molteplice.
Nell’era dei social. Piattaforme che ti permettono ti rimanere in contatto con amici, di creare nuove connessioni e allargare la cerchia di “follower”, solo attraverso un + segui.
Ma cosa c’è esattamente di sociale in questo? In un abbattimento delle interazioni reali a
favore di comunicazioni parziali, fittizie,dosate e mascherate.
Questa è l’era che la maschera ce la mette, ci impone di indossarla, in realtà ce ne regala
diverse a seconda delle situazioni e del tipo di interazione. Pensa che generosa e altruista.
Un’era che ci fa tornare al meccanismo primordiale, ci gratifica e punisce. Il bastone e la carota. Il social è stato pensato come una Skinner box, dove venivano studiati e
addomesticati i ratti, attraverso l’utilizzo di premi e punizioni, dove venivano condizionati a
fare o non fare qualcosa.
Così i like, le reaction, i commenti diventano premi… simbolo che ciò che fai è corretto e
giusto per la società. Il premio ci da gratificazione e ci innalza i livelli di dopamina, e ci spinge ad uniformarci a tutti gli altri per riceverne dosi sempre maggiori.
Per sentirci parte integrante di questa immensa rete che a dirla tutta non fa altro che
rinchiuderci sempre di più, rateizzare le emozioni, barattare l’individualità con l’effimero,
filtrare la persona.
È possibile cambiare se stessi, diventare chiunque, lo schermo crea una barriera che
anziché intimorirci ci da l’illusione di essere “altri”, di abbellirci, cambiarci, “migliorarci”,
snellirci, così da poter postare una foto secondo le caratteristiche canoniche richieste dalla
società social. Regole rigide dettate da un algoritmo.
Poi mettiamo in stand by il telefono, ci guardiamo allo specchio e non sappiamo chi siamo. Non sappiamo più comunicare, perché non c’è lo schermo a proteggere le nostre emozioni e il nostro vero io. Ci sentiamo nudi, sbagliati e inadatti. Senza tutti quei filtri e
“abbellimenti”.
Poi lo riaccendiamo, guardiamo le notifiche aumentare dopo la pubblicazione di una foto e
ci sentiamo meglio, ci sentiamo accettati. Anche se non siamo noi. La comunicazione ha dei teoremi fondamentali che ci permettono di comunicare un messaggio, un significato.
Per poter arrivare al destinatario è necessario che il contenuto sia coerente, e i contenuti
sono due, uno verbale attraverso il quale arrivano le parole ed i vocaboli scelti per la
comunicazione, ed uno non verbale, che arriva attraverso il tono della voce, le pause, i
silenzi, arriva attraverso la vicinanza con l’altro, attraverso lo sguardo, i gesti.
Al destinatario quindi arriva tutto questo per poter leggere chiaramente il contenuto.
È facile dunque comprendere come attraverso lo schermo la maggior parte del messaggio
si blocca e non arriva. Mandiamo un contenuto parziale, spoglio di emozioni e
empaticamente assente. Un messaggio che comunica solo una parte, una sintesi, una bozza.
Che lascia spazio a incomprensioni.
La comunicazione attraverso i social avviene in maniera indiretta, attraverso la
condivisione di una storia o uno stato, visibile a tutti. Dove chiunque o nessuno può
sentirsi interpellato. Anche la lettura degli stessi messaggi è diventata ambigua. Abbiamo imparato a sparire, a smaterializzarci… basta cambiare le impostazioni e togliere la visualizzazione, l’online,
l’accesso. Una modalità di interazione ansiosa, dosata, labile, fuggente. Schizoide.
Se è vero che tramite l’utilizzo dei social siamo tutti interconnessi e la possibilità di
comunicare è diventata più rapida e istantanea, è altrettanto vero che si è persa la capacità
di interagire, di farsi conoscere, di esserci.
Perduti in un labirinto di interazioni superficiali e distaccate, dove un emoticon ha
sostituito il calore di un sorriso e un ❤️ ha rubato il posto di un bacio.
Benedetta Racanelli
Tirocinante presso lo studio BURDI
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