ESSERE CIÒ CHE VOGLIONO
Vita e relazioni senza veli.
Nasco e cresco da due genitori che hanno come principale fonte di gratificazione il proprio matrimonio e i propri figli, interpretati come protesi delle proprie mancanze e del proprio essere.
Per loro, l’ unica fonte di realizzazione dell’ essere uomo/donna è attraverso la metamorfosi in marito-padre/moglie-madre.
Il danno maggiore causato dalla mia famiglia “proletaria” è stato il proiettare sui propri figli le aspettative che i miei genitori sognavano per se stessi.
Raramente mi è stato chiesto e mai è stata presa in considerazione la risposta alle domande: Cosa desideri? Cosa ti piace? Cosa vorresti? Ero di loro.
Non ero una persona, ero un figlio.
Un dipendente, un sottomesso ai desideri, piaceri e volontà dei miei genitori.
Vivevo in una famiglia piuttosto isolata: i miei genitori avevano pochi amici e quei pochi condividevano le stesse politiche sociali. Non avendo altri esempi o figure di riferimento, i miei genitori erano riusciti nel processo di addomesticamento. Il mio vero se è stato stroncato sul nascere.
Ero il figlio che ogni genitore impreparato e insicuro sogna: disponibile, assertivo, empatico, studioso, anticipatore dei loro desideri. La mia priorità era assecondare le loro aspettative.
I problemi del figlio che non dava mai problemi, iniziano quando fui costretto a confrontarmi con uno spaccato del mondo reale: la scuola.
Il periodo scolastico fu pervaso da furiosi scontri in ambito familare, scolastico e amicale. Solo ora ho la consapevolezza di esserne stato io la causa. Io, come individuo inconsapevole, ho cercato e creato lo scontro perchè non riconoscevo le persone che mi circondavano come attori compatibili e approvabili a partecipare alla mia vita. Ero disorientato.
Il vivere in modo isolato, con pochi contatti con la realtà aveva creato in me un idea di mondo diversa da quella che era realmente.
Paragonando la società al mare, io ero convinto di vivere in un golfo, ma mi rendo conto che io fino ad allora avevo vissuto in un acquario.
Perse le mie scarse e precarie certezze, mi chiusi in un periodo di completo isolamento in cui ho tagliato fuori dalla mia vita chiunque e spesso anche me stesso. Nel periodo che ho dedicato alla riflessione (con gli strumenti che avevo a disposizione) ho riconsiderato quali sarebbero stati i miei nuovi untori di verità da idealizzare, ai quali sottomettermi:
i privilegiati del liceo che frequentavo.
Volevo essere uno di loro. Provenivano da famiglie benestanti, avevano bei vestiti, frequentavano bei luoghi, avevano sempre soldi in tasca, non pagavano le conseguenze dei loro errori.
Soprattutto “loro” avevano i propri genitori sempre dalla propria parte, i miei invece, avevano reverenza nei confronti di qualsivoglia autorità.
Avrei riciclato e rottamato senza titubanza i miei genitori arroganti ed impreparati con i loro che all’ apparenza risultavano perfetti. Iniziai con il mimetizzarmi tra i miei coetanei, nella speranza di essere integrato nel gruppo “loro”.
Le auto limitazioni alimentari per corrispondere ad uno dei “loro” comandamenti: magro uguale bello, si trasformano prima in digiuni e poi in abbuffate con rigurgito.
Il processo durò poco perchè semplicemente non ero uno di loro. Mi mancavano sia i soldi che i loro usi e costumi.
Avevo ancora una volta perso la mia identità.
Non ero una persona, ero ancora un figlio. Figlio non più dei miei genitori ma di una ideologia alla quale così come i miei genitori, anche a lei non importava nulla di cosa desiderassi, cosa mi piacesse, cosa volessi.
Ero dipendente dalla dipendenza: imprigionato nella coazione a ripetere:
Scuola, lavoro, relazioni, amicizie, ho cercato e/o creato i presupposti perchè qualcun altro mi desse le linee guida da seguire per essere un bravo dipendente.
Questo circuito è andato in corto quando non ho più avuto qualcuno o qualcosa che mi desse la possibilità di essere un bravo dipendente.
A questo punto ho deciso di rivolgermi allo psicoterapeuta Burdi che mi ha consigliato la terapia di gruppo.
Entrare in una terapia di gruppo è come entrare in una nuova realtà. Quella autentica.
Questo debutto in questa nuova realtà è stato contraddistinto dalla variazione delle mie priorità.
Il primato detenuto dalla conformazione ha ceduto il posto all’ autodeterminazione.
I membri cercano di raccontarsi per quello che sono. Senza maschere, senza patinature, senza veli.
Nella realtà social fatta di filtri instagram e Photoshop, confrontarsi con l’ autentico è raro.
Durante questo percorso ho avuto la possibilità di capire e scoprire i pensieri ed il modo vero di essere e di pensare dei miei “compagni di viaggio”.
Generalmente i sintomi del malessere sono differenti ma le cause sono comuni ai membri del gruppo: essere stati velati. Nel momento in cui si da un consiglio al prossimo su come curare il proprio sintomo, lo si sta dando a se stesso.
Questo percorso mi ha portato alla consapevolezza che non sono più un figlio, sono una persona.
guido
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